Benedetto Dio Padre
12/07/2015
La Liturgia della Domenica XV propone come principale il tema della libertà: di fronte ai potenti da parte di chi esercita il ministero profetico (è il caso del profeta Amos); rispetto alla ricchezza e agli interessi da parte di chi accetta il compito dell’annuncio evangelico (è il caso degli apostoli). Potere e ricchezza sono infatti forze devianti che causano condizionamenti e corrompimenti e postulano di conseguenza costante attenzione e massima vigilanza.
Di non minore importanza è tuttavia il messaggio della seconda lettura, l’inizio della lettera agli Efesini, che, con le parole “benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione”, ci invita al ringraziamento. Chi e perché ringraziare? Nella circostanza Paolo apostolo si innalza ad una visione universale che abbraccia il mondo, la storia, l’eternità e tutte le vite. Salga a Dio Padre la lode, la benedizione, il ringraziamento perché ha pensato e manifestato il mirabile progetto di salvezza, il mistero, che, nella incarnazione vita pubblica passione morte risurrezione e ascensione del Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore, si è realizzato, ed ora si attua nel cammino del tempo per portare a salvezza tutta l’umanità. E’ dono del suo amore, “secondo il disegno di amore della sua volontà e la ricchezza della sua grazia”, e si realizza nella vera unità, quella che riconduce a Cristo unico capo le cose della terra e quelle del cielo. Nel piano di Dio prima ha avuto luogo l’elezione del popolo ebraico, poi è venuto il tempo della chiamata dei popoli della terra, infine ci sarà ilo compimento, quando Dio farà di tutti una cosa sola. Il disegno universale abbraccia gli uomini di ogni tempo e nazione ognuno trova il suo posto, perché è pensato, scelto, destinato alla vita eterna come vero figlio. Vedete l’amore di Dio: ci chiama figli e noi lo siamo davvero.
don Francesco
L’amore di Cristo ci possiede
22/06/2015
Abbiamo vissuto, or sono due settimane, una celebrazione intensa nella Festa del Redentore, partecipando ai diversi appuntamenti dell’adorazione eucaristica, delle S. Messa, della Processione del SS.mo Sacramento lungo le vie della Zona Nord del Centro storico. Nella circostanza abbiamo anche pianto a motivo di un grave lutto, sentendo forte il legame che ci stringe ai familiari e a Luca stesso, il giovane che il Signore ha chiamato a sé dopo una prova durata quasi due anni e affrontata con spirito cristiano di fortezza e di fede. L’offerta della sua vita diventi benedizione per la parrocchia e soprattutto per l’Oratorio e il mondo dei ragazzi.
Nel frattempo notizie e avvenimenti si succedono – il problema grave degli immigrati, la costante preoccupazione per la famiglia, l’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco sui temi dell’ecologia ecc.. – a ricordarci che il cristiano ha certo diritto al riposo ma spiritualmente deve stare sempre sul campo dell’impegno, non andando mai né in vacanza né in pensione.
Siamo alla domenica XII nella quale il Vangelo secondo Marco ci invita a soffermarci sul misterioso fatto della traversata del lago durante la notte, della violenta tempesta, dell’intervento di Cristo a far cessare il vento e riportare la quiete. Nel testo sacro ritorna per tre volte l’aggettivo “mega”, che nella lingua greca sappiamo significare grande: grande tempesta, grande calma, grande timore. Il timore sorgeva dalla constatazione dell’efficacia dell’intervento di Gesù. “Chi è questa persona alla quale obbediscono i venti e il mare?”. Il cristiano conosce la riposta a questa domanda, la quale però per essere autentica ha bisogno di diventare pratica e manifestarsi nei comportamenti. Chi ha fede in Gesù è certo della sua presenza e si affida interamentete alla sua guida. Diventa quindi capace di attraversare ogni tipo di difficoltà e di superare le tempeste. Vince soprattutto la battaglia per il bene perché il mare, simbolo della potenza del male, viene domato dal Signore. “Tacquero le onde del mare ed Egli li condusse al porto sospirato”.
don Francesco
Rimanete nel mio amore
10/05/2015
Aprile e maggio sono i mesi nei quali la Chiesa vive con intensità lo spirito della Pasqua e nello stesso tempo quelli nei quali la tradizione sceglie di preferenza di celebrare i Matrimoni. Così avviene anche quest’anno nella nostra Parrocchia che vede quattro coppie accostarsi all’altare. Torna perciò particolarmente gradito il messaggio della Liturgia della sesta domenica che parla dell’amore e della sua fonte divina. Ci riferisce parole molto note, di Cristo e nell’apostolo Giovanni, che sono però talmente alte da sembrarci impossibili, tanto sublimi che non finiscono mai di stupirci.
“Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore viene da Dio. Soltanto chi ama conosce veramente Dio, perché Dio è amore. L’amore di Dio ci avvolge e precede il nostro amore”. Così si esprime l’evangelista. Sulla medesima via che porta all’amore ci invita anche Gesù. “Il Padre vi ama, egli dice, ed anch’io vi amo. Perciò amatevi anche voi gli uni gli altri secondo lo stile di cui vi ho dato l’esempio”. Emerge da qui però il fatto che l’amore non consiste in un sentimento passeggero e in una esperienza fugace, perché quando è autentico occupa tutto l’essere umano nel suo intimo, lo trasforma e gli imprime un orientamento nuovo e definitivo. Per questo Gesù aggiunge: ”Rimanete nel mio amore, in quell’amore che sa fare scelte impegnative, che mette l’altro sullo stesso piano e opera per portare frutti duraturi. Allora la mia gioia sarà in voi e la vostra gioia sarà piena”.
In questo spirito la comunità di San Marco vive il mese di maggio, prega per la famiglia e invoca la Vergine Madre affinché accompagni e protegga.
don Francesco
Il giorno che il Signore ha fatto
13/04/2015
La Pasqua si prolunga in una liturgia festosa lungo un settimana – l’ottava di Pasqua- ma a ben vedere il giorno santo si stende su tutta la durata dell’anno ed anzi dei tempi e del tempo.
Nelle concitate note della cronaca di questi giorni, come anche in quella dei precedenti, quasi ci sembra di smarrire il filo dei significati, la trama del disegno che il Signore sta preparando. Tutto ci appare come abbandonato al caos delle libertà che si fanno rivali, che si oppongono, si sfidano, si fanno violente e causano ansie e paure, persino terrori e disperazioni.
Il messaggio riproposto dalla domenica seconda dopo Pasqua è eterno, non può essere che quello che si riferisce a Cristo Signore e parte da lui, che è l’inizio e la fine e sta al centro di ogni esistenza, di ogni comunità e realtà umana. Oggi egli agli apostoli dice: “pace a voi” mentre a Tommaso dice: “non essere incredulo ma credente”. Il dono della pace, con i valori che riassume, è ancor oggi indispensabile per ciascuno di noi, per la Chiesa e le chiese, per le società e per gli stati e perciò supplichiamo il Signore affinché ce lo conceda in abbondanza. Indispensabile è pure il dono della fede, che è di origine divina e ha dei percorsi non prevedibili come accenna la parola: ”beati quelli che non hanno visto eppure hanno creduto”. L’evangelo afferma che dapprima la fede conduce all’adorazione: “mio Signore e mio Dio” e quindi porta all’amore di Dio e del prossimo. Infatti ”chi crede ama il Padre ed anche il Figlio”; e “chi ama Dio osserva i comandamenti e ama i figli di Dio”. Ci viene la nostalgia di un mondo certo remoto nel tempo ma che i cristiani sono chiamati a realizzare sempre e dovunque nella famiglia, nella comunità e nella società come è scritto: ”coloro che erano diventati credenti avevano un cuor solo e un’anima sola”.
don Francesco
Volgeranno lo sguardo
26/03/2015
Disponendosi le persone e la comunità a celebrare i santi misteri della passione e morte, di cui sarà mirabile coronamento la risurrezione, mi sembra spontaneo il suggerimento a soffermarsi su quattro passi evangelici che ci invitano a guardare e contemplare colui che è stato Crocifisso.
Leggiamo dapprima il capitolo terzo di San Giovanni dove troviamo queste parole di Gesù: ”Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. In questo passo allo sguardo dato con fede a Gesù crocifisso è legato il dono della vita, della vita autentica che per sua natura ha una dimensione ultramondana, la vita eterna. Incontriamo poi un secondo testo al capitolo ottavo nel contesto di un dialogo serrato, quasi di polemica tra Gesù e i farisei. Nella circostanza Gesù afferma: ”Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono”. Poiché “Io sono” è, come bene sappiamo, il nome stesso di Dio, guardare il Crocifisso con fede vuol dire riconoscere che Gesù Cristo è il Signore, è il vero Figlio di Dio. Un terzo passaggio degno di attenzione è quello che troviamo nella seconda metà del capitolo dodicesimo, dove il Cristo pronuncia parole piene di amore e di simpatia per l’umanità intera. “E io – afferma - quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Gesù si propone in tal modo come punto di riferimento universale, polo di attrazione delle menti e dei cuori per tutte le generazioni. Aveva pur detto infatti: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò sollievo”.
Il testo evangelico infine, concludendo il capitolo diciannovesimo, simbolicamente convoca sotto la croce tutta l’umanità perché, guardando e considerando ciò che di tremendo è stato fatto, prenda atto che un’epoca nuova deve cominciare. “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.
don Francesco
Superare la tentazione della rinuncia
22/02/2015
Una domanda si affaccia spesso alla mente e al cuore di chi non solo desidera ma anche, sentendosi parte viva della totalità universale, aspira, naturalmente avendo chiaro il senso del limite, ad un ruolo positivo della storia: Che cosa posso fare davanti a queste situazioni? Che senso hanno, quale incidenza possono avere il mio pensiero, la mia parola, la mia presa di posizione, la mia azione? Davanti ai fenomeni mondiali della crisi economica, delle guerre, delle violenze di ogni genere e di quelle a matrice religiosa fondamentalista, davanti alle ingiustizie, ai delitti della mafie, agli impressionanti flussi migratori che cosa posso fare io singolo? che cosa possiamo fare noi? La percezione di una evidente impotenza di fondo, davanti a problemi dell’umanità ogni giorno crescenti e troppo grandi, rischia di portarci alla paralisi e alla rinuncia, a subire le situazioni e a non più lavorare per il bene della società. Due circostanze di questa settimana costituiscono al contrario un invito a reagire, ad assumerci delle responsabilità, a farci carico del mondo in questo tempo che ci è dato. Il Vangelo della domenica prima di Quaresima accenna alle tentazioni, che in sintesi vogliono staccare le persone da Dio, portandole a scegliere le vie più facili, quelle che certamente non rappresentano la soluzione, perché evidenziano gli interessi individuali e non anche quelli degli altri. Sullo sfondo sta la prima lettura che presenta l’alleanza stipulata da Dio con Noè, che è una promessa che intende raggiungere tutta l’umanità. La promessa fatta a Noè - “Questa alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive nella carne”- non può lasciarci indifferenti, perché dice con evidenza l’unità del genere umano in un unico grande disegno divino, che per la sua realizzazione viene affidato all’uomo che vive nel tempo. L’altra circostanza è data da una riflessione sulla vita, più specificamente sul mistero del generare, dell’apparire incessante di creature umane su questa terra. Si tratta di un appuntamento che è in calendario in questi giorni. “Dio vide che era cosa molto buona” e perciò affidava ad ogni uomo e donna il compito di custodire e coltivare il giardino. Che fare dunque di fronte a compiti gravi e immensi? Ritorna alla mente una parola di Gesù sull’agire, sul senso del limite ma anche sulla responsabilità. Non possiamo ritenerci indispensabili, ma cerchiamo in ogni modo di non venite meno ai nostri doveri. “Abbiamo fatto quanto dovevano fare”.
don Francesco
Preoccupazioni e preghiere
14/02/2015
Le ricorrenze richiamate dai giorni che precedono l’inizio della Quaresima portano all’attenzione circa aspetti diversi ma nello stesso tempo essenziali della nostra esperienza quotidiana di vita.
La festa di San Valentino, festa dei fidanzati tornata in auge non solo come occasione di pubblicità per regali ma anche per legittime attese della dimensione spirituale, ci ricorda che in tutto deve vigere il primato dell’amore. In ossequio e adempimento di due parole bibliche distinte ma collegate: “al di sopra di tutto ci sia l’amore”, “forte come la morte è l’amore”. Il pensiero corre spontaneo ai giovani che intendono aprirsi sempre più all’esperienza dell’amore vero, poi soprattutto ai fidanzati e alle coppie giovani, infine anche a chiunque desidera il rinnovamento interiore seguendo l’impulso di crescita che deriva dal “ritornare all’entusiasmo dell’amore di un tempo”.
Un'altra ricorrenza è rappresentata dalla celebrazione liturgica dei Santi Cirillo e Metodio, primi missionari tra i popoli slavi, patroni d’Europa con S. Benedetto e con le Sante Caterina da Siena, Brigida di Svezia ed Edith Stein. Ci suggerisce la preghiera per l’Europa, per la nuova evangelizzazione, per l’unità dei cristiani, per la pace. Purtroppo avviene con una certa frequenza che obiettivi semplici e di buon senso, che sembrano a portata di mano, si allontanano sempre più. Questo ha dell’inspiegabile e forse sta anche a indicarci il mistero della presenza del male e del maligno anche nella vicenda storica attuale.
Con i Santi Patroni d’Europa invochiamo anche i Santi Patroni della città e diocesi di Brescia Faustino e Giovita. Non mancano i problemi a livello locale sia per mancanza di lavoro, sia per le difficoltà derivanti da famiglie che non sempre sono in grado di conservare l’unità, sia per il mondo giovanile, sia per le situazioni derivanti dal mondo degli immigrati. Tutto affidiamo alla grazia dello Spirito Santo, invocando sapienza fortezza e amore.
don Francesco
Giorni di violenza e di angoscia
10/01/2015
La domenica nella quale la Chiesa Cattolica celebra il Battesimo di Gesù
cade nella cronaca di giorni dolenti e violenti, in Francia e per tutto
l'Occidente, per la strage di 12 persone relativa al giornale satirico
Charlie Hebdo, compiuta a Parigi. Le due cose fanno molto contrasto ma
hanno anche un filo di comunicazione. Il contrasto è rappresentato dal
fatto dell'esordio della missione di Gesù che il Battesimo ricevuto da
Giovanni al fiume Giordano rappresenta. "Il Figlio amato, nel quale Dio
pone il suo compiacimento" si accinge a dare inizio alla sua predicazione
di mitezza, di amore, di giustizia, e di universalità volta alla
conversione dei cuori e alla salvezza di tutti. La compirà con la potenza
dello Spirito Santo, chiamando liberamente le persone alla sua sequela con
parole di simpatia e di libertà ed additando la via della purificazione
attraverso il Battesimo nello Spirito Santo. Egli l'avrebbe donato
coinvolgendo in una azione fatta di parole e di opere per la
trasformazione di tutta la vita. L'immagine della colomba sta proprio ad
indicare il cambiamento che riguarderà tutto il popolo. Due mila anni di
storia cristiana e della Chiesa testimoniano la grandezza sublime
dell'opera di Gesù ed insieme i non pochi fallimenti ambiguità e
contraddizioni che la Chiesa non ha saputo superare. Il filo di
comunicazione è rappresentato dal mistero del male al quale Gesù ha
risposto con tutto l'amore, fino allo spargimento del suo sangue nella
Passione e crocifissione, è il filo rosso del Battesimo di sangue, di Gesù
e dei martiri, che segnano il cammino della Chiesa, non come comunità
distinta e diversa ma come parte dell'unica umanità che vive nel tempo.
Per quanto riguarda invece specificamente l'attentato di Parigi, dentro e
oltre le legittime proteste in favore della libertà di espressione, ci
possono aiutare le parole di un giornalista del quotidiano "Avvenire" che
richiama, anche in questo campo, i principi di rispetto dell'altro e della
responsabilità. " Per far cessare delitti orrendi come quello di Parigi la
cosa peggiore per noi è difendere come contro-religione la libertà di
schernire come ci piace la religione altrui e di sghignazzare sui simboli
sacri di chiunque". (G.A., 09,01.2015).
don Francesco
Natale ed Epifania
La luce illumina ogni uomo
06/01/2015
Natale ed Epifania, feste di inizio e di conclusione del ciclo celebrativo della natività del Signore, cioè della venuta del Figlio di Dio sulla terra a visitare e liberare il suo popolo, portano il medesimo messaggio con accentuazione diversa. Nel giorno di Natale infatti sono i pastori ad accorrere per vedere, riconoscere e adorare.
Essi rappresentano i vicini, i poveri, il mondo ebraico. Nella festa dell'Epifania invece sono i Magi, giunti a Betlemme dopo un lungo viaggio, a compiere il gesto religioso fondamentale di prostrarsi e adorare. Essi rappresentano i lontani, i ricchi, i popoli provenienti da tutti i lati della terra. In tal modo le narrazioni evangeliche ci mostrano che l'umanità intera, nei gesti dei pastori e dei Magi, si apre all'accoglienza del Salvatore, luce per illuminare le genti, secondo l'evangelista Luca; luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo, secondo l'evangelista Giovanni. E' evidenziato in tal modo il tema specifico ell'Epifania, la manifestazione del mistero del disegno divino per tutti i popoli, attuato in Cristo Gesù, dal quale soltanto in modi misteriosi che non ci è dato conoscere - può venire la salvezza, poiché le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, a divenire partecipi della stessa salvezza. Uno sguardo alla Chiesa, ai cristiani, ai popoli, al mondo di ieri e di oggi ci fa intuire la grandezza e l'impegno dell'opera. La compirà il Signore la ma non da solo. Una città sul monte splende a motivo della sua presenza, che manifestano con la loro vita santa gli uomini e le donne che la abitano.
don Francesco
Così benedirete...
01/01/2015
E' bello iniziare l'anno 2015 prestando ascolto alle parole che la Liturgia della Chiesa cattolica propone nelle letture della S. Messa. "Quando venne la pienezza del tempo - scrive l'apostolo Paolo - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto a legge.perché ricevessimo l'adozione a figli".
Ecco dunque che l'anno che ora comincia non è che parte infinitesimale del tempo pieno che Cristo ha inaugurato con la sua venuta misteriosa, una pienezza alla quale attingere per esserne partecipi. E' nato da donna e quindi è autenticamente uomo; è nato dalla "piena di grazia" e quindi dalla Madre unica e perfetta che l'umanità venera e ama; è nato sotto la legge e quindi appartiene alla stirpe ebraica; è venuto dal silenzio degli spazi infiniti e quindi è Figlio Divino che insegna a comunicare con l'Eterno con invocazione familiare."Abbà! Padre!". "Gli fu messo il nome di Gesù", colui che porta salvezza, perché ogni nome di uomo e di donna è scritto nel suo cuore.
Sia dunque benedetto Colui che è entrato nel modo e la sua benedizione ci raggiunga, ci avvolga e ci accompagni. "Ci benedica il Signore e ci custodisca. Il Signore ci illumini con la luce del suo volto e ci conceda pace". "L'anno sia coronato con i suoi benefici".
don Francesco
Pietà giustizia e sobrietà per un vero Natale
25.XII.2014
Notte e giorno di luce è il Natale. Così infatti è scritto nel libro dl Profeta: Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse , mentre nel Vangelo secondo Luca leggiamo che alcuni pastori vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge, ed ecco un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce . E festa di luce il Natale ma dobbiamo subito bandire le fantasie e lasciare da parte ogni allusione ai mille giochi delle luci artificiali nelle strade negli spettacoli e nei luoghi della vita notturna. La luce che le immagini bibliche evocano è quella che si riferisce all uomo, alla singole anime, alle comunità e ai popoli. Avendo questo riferimento troveremo un diretto riscontro nello smarrimento e nel disorientamento e dunque nell assenza di luce che sembra contraddistinguere l esperienza umana dei nostri giorni.
A) Ci impressiona enormemente il peso della crisi economica con le relative conseguenze di precarietà, di sconforto, di rinuncia, di povertà ed anche di abdicazione dai doveri. Una società che per decenni ha conosciuto la crescita materiale e il benessere, che si è illusa nel mito del progresso illimitato, si è trovata impreparata quando si sono verificati ampi fenomeni di frenata, di interruzione, di caduta della produzione e quindi di crisi economica, della quale siamo spettatori e vittime. Illustri personalità, premi Nobel, cattedratici di famose Università, presidenti e direttori di tutti i settori sono restati muti o hanno pronunciato sentenze vuote, inutili, insignificanti. Inadeguati a capire la direzione delle cose e quindi incapaci di mostrare prospettive credibili per l avvio della soluzione e della ripresa economica. Nel frattempo in questi anni non hanno smesso di operare professionisti del malaffare e del furto su grande scala.
B) Ci sconcerta in un secondo tempo il clima di violenza che sembra avvolgere tutta la sfera delle relazioni umane, proprio in un epoca nella quale vanno i moda parole nobili come dialogo, incontro, condivisione, tolleranza, pace. Dai ragazzini che con frequenti atti di bullismo diventano capaci di gravi trasgressioni, alle violenze e ai delitti nella vita familiare, al terrorismo dilagante che non risparmia bambini innocenti, alla lotta spietata ora palese ora nascosta delle varie forme di mafia, alle frequenti tensioni e persecuzioni tra etnie e religioni fino alla guerra vera e propria: è tutto un pullulare di fatti terribili dentro un mondo che si ritiene civile, mentre produce e coltiva tante forme di barbarie. Siamo ben lontani dal sogno, duemilacinquecento anni fà, del profeta, che vedeva convenire popoli e nazioni sul monte santo, attratti dalla luce divina, per intraprendere un cammino nuovo di fraternità e di pace. Spezzeranno le spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci : sono le parole della visione, ad indicare un progetto purtroppo inatteso, spesso respinto.
C) Ci colpisce infine lo smarrimento culturale, antropologico, etico che investe la società, la quale quasi impazzita non è più in grado di discernere la realtà e si rifiuta di chiamare uomini istituzioni e cose col loro nome: uomo, donna, marito, sposa, padre, madre, matrimonio, figlio ecc Una moderna declinazione della vicenda della torre di Babele porta alla confusione e scompagina gli idiomi. Gli uomini non si capiscono più e gli stessi rappresentanti della politica, nell intero Occidente, tenacemente incalzati da un mondo dell informazione completamente appiattito e poco responsabile, mentre dimostrano di non sapere che pesci pigliare nei campi di loro stretta competenza, si trovano del tutto concordi nel proporre ricette che distruggono la famiglia, non rispettano la vita, incrementano l individualismo imperante e minano le forme più elementari di solidarietà.
Davanti a questi scenari, bene considerando le cose, da una parte non possiamo negare di temere per il cammino dell uomo diventato arduo in questa notte senza luna e senza stelle e immersa nell oscurità, mentre dall altra siamo indotti a pensare all unico possibile rimedio, all invocazione che almeno un raggio della luce di Betlemme venga a rischiarare il nostro cielo.
In particolare ci può aiutare, per un orientamento sicuro, il breve e denso richiamo dell apostolo Paolo nella lettera al suo giovane collaboratore Tito. Inizia con l invito a prendere atto della novità e verità che il Natale porta: è apparsa la grazia di Dio . A Natale si rende manifesto l amore di Dio, che abbraccia tutta l umanità e la vuole portare a salvezza. Segue immediatamente l ammonimento a rifiutare, rinnegare e lasciare i desideri mondani , ricorrendo ad una espressione concisa che fa capire la necessità di smascherare le apparenze ingannevoli, le superficialità, tutto ciò che appare bello e facile, ma in realtà contrasta e nega il vero bene dell uomo.
Viene poi la conclusione che contiene la proposta a vivere in questo mondo con pietà, giustizia e sobrietà .
* La pietà che San Paolo intende non è la compassione ma l autentica religiosità, il genuino senso religioso che riconosce la grandezza e la bontà del Signore e lo mette al primo posto. Bisogna ritornare a Dio. Uomini e donne, anziani e giovani di oggi, tutti insieme dobbiamo compiere questo passo semplice e fondamentale. Adorerai il Signore tuo Dio e lui solo servirai amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l anima, con tuta la mente, tutte le forze .
*Vivere con giustizia ne è l immediata conseguenza. Il senso di Dio porta al senso dell uomo, al riconoscimento della dignità di ogni persona, e quindi al rispetto e all amore esigente, non solo a parole ma nei fatti. Un autore inglese, riferendosi alla biografia di un noto poeta e scrittore tedesco (Brecht) ha scritto che si è dovuto aspettare l autopsia per scoprire che aveva un cuore nel petto.
Non avere cuore è il più grave rischio che si possa correre.
*E vivere con sobrietà soprattutto in questo tempo contrassegnato dal consumismo. Sobrietà vuol dire senso della misura e soprattutto capacità di distinguere, per dare valore soltanto alle cose necessarie e alle cose importanti. Vuol dire abbracciare il principio della qualità, piuttosto che cedere alla tentazione della quantità. Il nostro è un tempo, un mondo esagerato: troppe immagini, troppe parole, troppi rumori, troppo movimento, troppo culto del corpo, senza una corrispondente impegnativa coltivazione dello spirito.
Chi ha ascoltato la recente trasmissione Tv sui dieci Comandamenti forse ha notato la sorprendente applicazione al Comandamento non desiderare. Esso presuppone l attento esame dei desideri per distinguere in essi ciò che è buono da ciò che è cattivo, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che vale la pena da ciò che è dannoso. E il comandamento che postula la nascita e l esercizio della coscienza personale e la conseguente consegna del principio di responsabilità.
Che la luce divina, la sola che può illuminare la coscienza in vista della responsabilità, giunga su tutti noi, come dono dall Alto in questa celebrazione del Natale.
don Francesco
Gesù e il suo Regno
21 Novembre 2014
Celebriamo nella terza domenica di novembre, ultima dell’Anno liturgico, la festa di Cristo Re dell’Universo. Un titolo, quello di re, che il Cristo aveva sempre evitato e respinto, ma che alla fine, di fronte ad esplicita domanda del governatore Ponzio Pilato , non aveva esitato a rivendicare.”Tu lo dici: io sono re ”. Il concetto vero che la regalità intende mettere in luce è comunque perfettamente assorbito dal titolo “Signore”, che attribuiamo a Gesù ad indicare il suo primato su tutti e su tutto, e dal titolo “Pastore”, che esprime la sua presenza in mezzo a noi come guida del cammino e come sollecitudine amorevole nei confronti di ciascuno. Alla prima di queste realtà accenna il Vangelo secondo Matteo, quando presenta Gesù come “figlio dell’uomo che verrà nella gloria con tutti i suoi angeli”, come giudice universale per pronunciare sentenze di salvezza e di condanna sulla base dell’amore del prossimo, in particolare verso gli ultimi della società. Alla seconda realtà si riferisce invece la prima lettura, nella quale il profeta Ezechiele mostra un Dio quasi costretto a prendere in mano direttamente e personalmente la situazione dolorosa dell’umanità, perché “i pastori suoi vicari” incaricati di radunare, proteggere e accompagnare il gregge si comportano al contrario come profittatori e sfruttatori. Non riesce difficile dietro questi scenari leggere le condizioni della vita umana nel mondo, quella di ieri e quella attuale.
Possiamo infine tracciare una linea di congiunzione tra la lettura tratta dalla Lettera ai Corinzi, nel capitolo XV, e la Giornata di preghiera e di attenzione al Seminario, che la Diocesi di Brescia ci invita a vivere. Al centro sta sempre Gesù nel suo rapporto con la Chiesa e con l’intera umanità in una prospettiva sia terrena che ultraterrena. Alla fine, è scritto, saranno annullate tutte le forze avverse all’uomo, tale è la potenza di Gesù, ed “egli consegnerà il regno a Dio Padre”.Quel regno di Dio che è da annunciare perché è in mezzo a noi, che è da fare crescere perché è come un seme affidato alla terra, richiede che mani generose lo coltivino (“andate anche voi nella mia vigna!”). Il regno è dono del Padre e si avvale della presenza insostituibile di Gesù, ma vuole la collaborazione di tutti, soprattutto è alla ricerca anche oggi di forze giovanili. “Ad un altro Gesù disse: seguimi”.
don Francesco
In due quadri la Festa dei Santi
04 Novembre 2014
Come guardando due quadri possiamo meditare le letture della Festa di tutti i Santi.
Nel primo vediamo “i servi del nostro Dio” che camminano nel tempo.
Sono in numero di centoquarantaquattromila, una cifra che indica la completezza e nello stesso tempo la possibilità che si apre per tutti di farne parte. Essi già sulla terra incontrano l’amore “dato dal Padre”, hanno piena coscienza della loro dignità, poiché “non soltanto vengono chiamati ma realmente sono figli di Dio”; segnati “da un misterioso sigillo” si trovano al sicuro sotto la divina protezione; conoscono già ora la beatitudine, cioè la gioia intima che deriva dalla fede.
Nel secondo quadro il testo sacro ci fa contemplare una folla immensa, quella degli eletti, di coloro che già hanno raggiunto la meta. Essi ora “stanno davanti al trono di Dio e davanti all’Agnello, al Signore Gesù”; realizzandosi la profezia che “i puri di cuore vedranno Dio, essi davvero vedono Dio faccia a faccia, come egli è”; ricevono la ricompensa, l’eterna gioia del regno. Hanno raggiunto la terra promessa; sono per sempre col Signore.
Ecco dunque il messaggio che ci reca la Festa dei Santi: il popolo di Dio, che è benedetto e protetto dal Signore lungo il cammino, alla fine sarà ammesso alla gioia della sua presenza.
Ma questo percorso non potrà attuarsi in modo automatico, perché come è sotto il segno della grazia divina, così è pure condizionato dalla libertà umana. I testi perciò sottolineano il punto di partenza indispensabile della fede (l’incontro e l’imitazione di Gesù); il passaggio attraverso la tribolazione e la persecuzione; l’itinerario di ascesi e di purificazione.
“Chi salirà il monte del Signore? Chi starà nel luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro”. (Ps 24).
don Francesco
Il secondo comandamento è simile al primo
26 Ottobre 2014
L'operosità della fede e la fatica dell'amore, sostenute dalla fermezza della speranza che non delude -virtù alle quali ha fatto cenno l'apostolo Paolo domenica scorsa - costituiscono lo sfondo della domanda del credente desideroso di obbedire al Signore, di attenersi alla sua legge. Qual'è dunque il primo dei Comandamenti? Qui non si tratta di una domanda, semplicemente curiosa, sulla bocca di un ebreo, preoccupato di destreggiarsi nella selva delle 613 norme che i rabbini sembra gettassero sulle spalle della gente, mentre essi non di degnavano di sfiorarle col dito. Si tratta invece di arrivare al centro della religione, al cuore del disegno divino, al nucleo da cui tutto deriva. La risposta di Gesù non suona nuova, ma, unendo due affermazioni antiche, invita a superare ogni forma di equivoco e a chiarire la questione in modo definitivo. Dice dunque Gesù che "il primo e grande comandamento è: amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore; seguito dal secondo che è: amerai il prossimo come te stesso". Nella risposta di Gesù propone di considerare tre realtà. La prima è Dio stesso, da mettere al primo posto, da amare intensamente e da riconoscere in modo vago. Questo non è poco se pensiamo al fatto che oggi fra di noi non mancano uomini e donne che tendono con facilità a prendere le distanze dalla fede in Dio. La seconda realtà è costituita dal grado dell'amore che il credente deve esprimere nella sua condotta di vita, amore che non può restare parziale ma deve tendere a raggiungere tutta la pienezza possibile. La terza riguarda la concretezza del vissuto, quando la coerenza unisce in atteggiamenti di riconoscimento, di rispetto, di servizio e di amore Dio e le sue creature.
Andando infine al concreto si dovrebbero approfondire i risvolti attuali degli esempi segnalati dal libro dell'Esodo, il testo della prima lettura che vuole portare l'attenzione sull'indigente che sta con te, il forestiero, la donna sola e stigmatizza la pratica dell'usura, il maltrattamento, le diverse forme di violenza che sono praticate. Ad ognuno di noi spetta di aprire prima gli occhi e poi il cuore e quindi con altri uomini di buona volontà realizzare l'amore.
don Francesco
Dio prima di tutto
19 Settembre 2014
Il primato di Dio è l'argomento evidenziato nella domenica XXX e su di
esso vale la pena soffermarsi. Rispondendo infatti alla provocazione
portata dai farisei e dai sostenitori del potere romano, nella circostanza
coalizzati contro lui, Gesù afferma con chiarezza:"Date a Cesare quello
che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio". Questa precisa
affermazione del Signore mette in evidenza la necessità di una netta
distinzione dei poteri religioso e politico, ognuno con un proprio campo
specifico da rispettare onde evitare ogni forma di conflitto. L'uno
chiamato a trattare le cose della terra, l'altro a considerare tutte le
cose in vista del cielo. Oggi è in voga la tendenza a pretendere tutto da
Cesare cioè dal potere politico, quasi esso fosse in grado di assolvere
ai suoi compiti nei confronti dei cittadini senza ricevere nulla in
cambio, dimenticando che là dove ci sono dei diritti sorgono anche dei
doveri. Nello stesso tempo impera una sorta di gelosia indotta dal timore
per l'invadenza del religioso, che fa elevare proteste vivaci e dure per
il sospetto che il potere della religione vada a insidiare la giusta
autonomia della vita civile. (con mille reticenze davvero sorprendenti su
fatti gravissimi della cronaca attuale che vedono le religioni - in questo
caso non il cattolicesimo - assorbire il potere politico e renderlo
proprio strumento). Gesù si pone su un piano più alto ed invita a
considerare la necessità della distinzione e nello stesso tempo a scoprire
il primato di Dio come risorsa indispensabile per la libertà delle
persone e delle società. Mettere Dio al primo posto vuole anche dire
rendere onore alla creatura fatta ad immagine di Dio.
don Francesco
Inaugurazione del Palazzetto dello Sport
11 Settembre 2014
C'è fermento, c'è vivacità, c'è attesa, c'è aria di festa, c'è anche entusiasmo in Oratorio.
per l'imminente apertura del ristrutturato Palazzetto dello Sport.
Lasciandoci alle spalle le immagini malinconiche di un grande spazio all'improvviso fattosi vuoto e per tanto tempo, di una struttura abbandonata e non più utilizzata, di un luogo già di incontro ma divenuto inaccessibile, riapriamo finalmente le porte della palestra perché ritornino i giochi, la ricreazione, lo sport, le iniziative e nello stesso momento prenda posto la vivacità dei mondi dell'infanzia, dell'adolescenza, della giovinezza, delle famiglie. Ritorni la vita in tutta la sua ricchezza.
Dapprima frequenti allarmi e avvertimenti hanno portato alla chiusura, in seguito è trascorso il tempo necessario per la preparazione adeguata, quindi il faticoso avvio e i lavori di ristrutturazione che si sono protratti per oltre un anno e si sono conclusi in questi giorni.
Sabato 13 settembre sarà la giornata ufficiale di inaugurazione e subito dopo seguiranno le innumerevoli e simpatiche iniziative della Festa della Gioia, che eccezionalmente occuperanno una settimana intera. Questo è tempo di gioia perché l'evento è come una immissione di aria buona nella vita dell'Oratorio: E' tempo di ringraziamento perché numerose persone hanno collaborato e continuano a collaborare per il Palazzetto, per la Chiesa, per l'Oratorio, per le opere parrocchiali ed il loro apporto è parte viva dell'anima della comunità. E' tempo di impegno un impegno da rinnovare secondo lo spirito del motto che richiama alla responsabilità ("agisci come se tutto dipendesse solo da te") nello stesso che momento che apre, nella dimensione della fede, all'azione divina ("e agisci come
se tutto dipendesse da Dio"). Il Papa Benedetto XVI ci suggerito questo stile, quando di se stesso ha affermato:"Sono un semplice lavoratore nella vigna del Signore".
don Francesco
Non c'è sequela senza amore
31 Agosto 2014
Non è difficile trovare un raccordo spirituale profondo nelle parole,
ancora una volta molto impegnative, della Liturgia della domenica XXII.
Nel mezzo di gravi difficoltà causate dalle resistenze alla sua missione e
portate fino ad una vera e propria persecuzione, il profeta Geremia è
tentato di abbandonare il campo. "Non parlerò più in nome di Dio, non gli
darò più testimonianza", dice a se stesso in un momento di grave crisi. Ma
poco dopo deve confessare che questa rinuncia di fatto è impossibile,
perché il Signore lo ha fatto innamorare. E' totalmente coinvolto e perciò
non potrà mai lasciare. "Mi hai sedotto, Signore; mi sono lasciato
sedurre". Un fuoco abitava nel suo cuore, la fiamma ardente dell'amore
non poteva più essere spenta. Questa stessa scelta di coerenza e di
fedeltà, scrive S. Paolo ai cristiani di Roma, deve caratterizzare tutta
la vita ordinaria dei credenti, chiamati ogni giorno ad "offrire se stessi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio". Non si tratta tanto di
donare a Dio qualcosa, secondo il costume mondano caratterizzato dal
criterio del dare per avere, quanto di donare al Signore la vita intera.
E' quanto Gesù stesso ha insegnato, dandocene però anche l'esempio. "Chi
vuole salvare la propria vita la perderà, chi perderà la propria vita per
causa mia la troverà". Sullo sfondo sta il mistero della nostra esistenza
umana, che è dato comprendere soltanto nella luce della fede. "Quale
vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la
propria vita"?
don Francesco
S. Maria degli Angeli e San Rocco
16 Agosto 2014
Anche in questi giorni così particolari, nei quali le nubi continuano a impedirci di vedere il sole e di godere del calore dei suoi raggi, ci
disponiamo a celebrare la duplice festività ferragostana, così diversa sotto molti aspetti, della Madonna Assunta in cielo e di San Rocco. La secolare devozione a questo santo è tanto diffusa nelle nostre contrade, che quasi non c'è parrocchia che non abbia una chiesa o una cappella a lui dedicata. Si tratta di un'eco che giunge da lontano, dai tempi nei quali i flagelli della peste e di altre epidemie spingevano i credenti a guardare ad un uomo che, ancora molto giovane, imbattendosi nei malati di peste non era fuggito ma li aveva curati, e rimanendo a sua volta colpito dal male ne era uscito guarito, diventando in tal modo un esempio e un segno di speranza. Dopo la santa morte il popolo cristiano l'avrebbe invocato come intercessore.
Ma la celebrazione principale del mese di agosto naturalmente è quella della Madonna Assunta in cielo, alla quale pure sono dedicate mille Chiese Parrocchiali, a cominciare, per quanto riguarda Brescia, dalla Chiesa Cattedrale, il Duomo nuovo. Recita l'Antifona dei Vespri:"Assumpta est Maria in coelum, guadent Angeli" e da qui deriva la preferenza per alcuni di chiamare questa festa o di dedicare il tempio sacro a S. Maria degli Angeli. Pensieri semplici poi ma fondamentali siamo chiamati a coltivare in questa celebrazione. Maria è la Madre del Signore, l'arca dell'Alleanza, colei che ha portato dentro di sé il Redentore. Ella viene assunta, portata dagli Angeli in Paradiso immediatamente dopo la morte. Non era giusto che il corpo della Madre del Signore andasse incontro corruzione. E' nostra Madre, è in cielo ma è pure sempre vicina a noi. Se i cristiani ed anche tutti gli altri uomini e donne ascolteranno, sull'esempio di Maria, la parola di Dio e la metteranno in pratica, saranno accomunati allo stesso destino di gloria. "Prima Cristo, che è la primizia e poi quelli che sono di Cristo". Nel frattempo, immersi nelle vicende della storia ma intimamente uniti al Signore Gesù e alla Madre e a tutti i fratelli, camminiamo nella storia con fede e amore, testimoni della speranza.
don Francesco
Cercate il pane della vita
03 Agosto 2014
Negli anni della mia preparazione mi sono imbattuto in alcune pagine di
uno scritto di André Gide, che mi colpiva soprattutto con il titolo
provocatorio che portava: Les nourritures terrestres (i cibi della terra).
Era evidente la polemica verso la parola evangelica, parola pronunciata
dal Signore: "Cercate il pane del cielo e non quello della terra". Il cibo
della vita eterna è appunto l'argomento che viene trattato nelle letture
della liturgia della domenica XVIII. Un Gesù stanco, intenzionato a
cercarsi, in luogo appartato in riva al lago, un'oasi di tranquillità per
riprendersi un po' dopo tanto lavoro, si ritrova circondato da grande
folla. Mosso da profonda simpatia accetta di incontrare tutte quelle
persone, vuole conoscere tutte le necessità e tutte le attese di cui sono
portatrici, interviene a favore dei malati e infine, prima di lasciarle
che tornino ai loro villaggi, improvvisa un pasto improvvisato abbondante
e misterioso, a base di pane e di pesce, così che il rientro avvenga nel
vigore del corpo e nella serenità dello spirito.
Tutto quello che avveniva in una limpida serata estiva, sotto gli occhi
meravigliati e felici di una folla entusiasta nell'intenzione del Maestro
era un gesto d'amore che costituiva anche un invito a guardare in alto e a
guardare più lontano. E' quanto sottolinea la liturgia quando ci propone
le parola con le quali si apre il capitolo 55° del profeta Isaia:"O voi
tutti assetati, venite all'acqua.prendete vino e latte.venite a mangiare
pane, cose buone, cibi succulenti. senza pagare e senza faticare, perché
si tratta di doni che vengono dal Signore".
Non sempre lo percepiamo e sentiamo con chiarezza, ma il Signore è vicino
a ciascuno di noi e ci vuole davvero bene. Lo conferma la testimonianza
dell'apostolo Paolo nella lettera ai Romani:"Nulla potrà mai staccarci
dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore".
don Francesco
Distinguere il bene dal male
26 Luglio 2014
In questi mesi in Italia è facile vedere sentire parlare ed anche incontrare persone molto giovani, uomini e donne, arrivati ai gradini più alti della pubblica responsabilità. Al riguardo possono tornare significative le parole della preghiera che il giovane Salomone ha innalzato al Signore all'inizio del suo mandato. Invitato a formulare specifica richiesta di quanto egli riteneva indispensabile e prioritario per l'esercizio del potere regale, il giovane monarca non esitava nella formulazione della domanda. Non chiedeva di essere sempre in grado di esercitare un potere forte e indiscusso superando le immancabili tensioni e rivalità della lotta politica, non chiedeva un vita lunga e coronata di successi di vario genere e neppure un regno caratterizzato dalla pace e dalla prosperità economica. Al Signore chiedeva invece "un cuore docile così da saper distinguere in ogni circostanza il bene dal male e di conseguenza di essere in grado di rendere giustizia al popolo".
Si presenta qui il tema della cosa più importante, quella che dobbiamo cercare, individuare e scegliere. Gesù ha ricordate alla Maddalena che "una sola cosa è necessaria"e nelle parabole ha insegnato che "l'uomo che nel campo scopre un tesoro, vende tutti i suoi averi per comparare quel campo e che anche il mercante, "che trova la perla di grande valore, vende tutti i suoi averi e la compra". Non tutto dunque è uguale , ma esiste una gerarchia di valori in base alla quale dobbiamo essere attenti a dare le giuste valutazioni e a prendere le debite decisioni. E' anche dato infatti l'ammonimento a "non gettare le cose sante ai cani e a non consegnare le perle ai maiali". Ognuno porta la sua responsabilità secondo quanto le vicende spesso imprevedibili della vita esigono. Giovani e anziani, uomini e donne tutti dobbiamo farci saggi. "Ci doni il Signore un cuore sensibile e intelligente". Non avvenga che camminiamo o induciamo gli altri a camminare sui sentieri sbagliati.
don Francesco
L’eterna competizione del bene e del male
21 Luglio 2014
Perché il male? Da dove viene il male? Potrebbero sembrare domande astratte, di carattere filosofico o teologico, adatte per le persone portate alla teoria e un po’ estranee alla realtà, ma in verità non è così. E’ sufficiente volgere qualche sguardo alle cronache di questi giorni per fermarsi non solo stupiti, ma più ancora sconvolti davanti a fatti innumerevoli di violenza dentro le famiglie e nelle società, in crimini di ogni genere, guerre, ingiustizie, sfruttamenti, rapine, latrocini, mafie, usurpazioni. Il tutto spesso scambiato per diritto e libertà. Ci dà occasione di toccare l’argomento la liturgia della domenica XVI con la splendida introduzione del libro della Sapienza e con la parabola della zizzania e del buon grano. Innanzitutto il sapiente di fronte alla diffusa stoltezza umana ci tiene a precisare che l’enorme negatività che è sulla terra, tutto il male che trionfa nel mondo non ha Dio come causa. E’ scritto nel libro:”Tu, o Dio, hai cura di tutte le cose. La tua forza è principio della giustizia. Padrone della forza, tu giudichi con mitezza”. “Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo”, aggiunge il testo della parabola. Da dove viene dunque il male? Viene da Satana, il nemico, e da tutti coloro che lo ascoltano. Dipende dalla libertà di uomini e donne, i figli delle tenebre, quando rifiutano il Vangelo e si mettono a disposizione dell’inganno e della menzogna, facondo sì che la libertà cada nel suo opposto. La parabola della zizzania procede poi richiamando la serietà della questione del male. Non è facile strappare dal campo la zizzania, il dominio del maligno è difficilmente attaccabile e la devastazione può diventare enorme. Tuttavia non è impossibile per chi ritorna a Cristo e si appoggia a lui. Il Signore ci porge l’invito:“Abbiate fiducia, il maligno è stato eliminato”.
don Francesco
Da Dio tutto ha origine a Dio tutto ritorna
15 Giugno 2014
Concluso il ciclo di celebrazione dei misteri della salvezza, realizzata
attraverso l'incarnazione la passione morte la risurrezione di Gesù e
l'invio dello Spirito Santo nella Pentecoste, la Chiesa ci invita sostare
in raccoglimento, a contemplare la realtà divina, ad adorare Dio,
suggerendoci di fare nostro l'atteggiamento fondamentale già proposto
dall'autore sacro a conclusione del libro dell'Apocalisse(22,9): "E' Dio
che devi adorare".
Davanti al mistero della Santissima Trinità, l'imperscrutabile mistero del
Dio Uno e Trino, dobbiamo superare le resistenze che si presentano
spontanee dentro di noi e andare oltre la facile reazione che ci potrebbe
portare a pensare o a esclamare: "e chi ci capisce qualcosa?".
"E' Dio e non un uomo", risponderebbe il profeta Isaia; "dove eri tu
quando l'universo cominciava ad esistere?", continuerebbe il libro di
Giobbe; "Dio si nasconde per essere cercato, ma gli uomini non lo
cercano", aggiungerebbe il sapiente, togliendo così il velo
all'autosufficienza e all'indifferenza dei superbi.
Accogliamo dunque la rivelazione della Trinità che è "grazia del Signore
nostro Gesù Cristo, amore di Dio Padre e comunione dello Spirito Santo".
E' il Dio tre volte santo, è il Dio dell'amore e della pace che cammina in
mezzo a noi, è il Dio ha tanto amato il mondo, il Dio che è amore. Chi
crede in lui ha la vita eterna.
don Francesco
Sarete miei testimoni
31 Maggio 2014
Scorrono i giorni e le settimane ed ecco che sta finendo anche questo mese
di maggio durante il quale, attenendoci alla nostra tradizione, nelle
serate di lunedì mercoledì e venerdì, abbiamo recitato devotamente il
santo Rosario e rievocato alcune figure esemplari, uomini e donne vissuti
in questi ultimi anni, che ci hanno mostrato come la fiaccola del Vangelo
continua ad illuminare attraverso la testimonianza di molti fratelli e
sorelle. I momenti salienti del mese, che coincide quasi per intero con il
tempo pasquale, sono stati: la celebrazione dei Sacramenti della Cresima e
della Prima Comunione dei nostri ragazzi, grande festa per tutta la
Parrocchia; l'appuntamento della comunità civile per le elezioni comunali
ed europee, motivo di ansia e di preoccupazione per le ragioni di
carattere sociale a tutti note; la visita di Papa Francesco in Terra
Santa, dove ancora una volta egli si è manifestato messaggero di
fraternità e di pace. Ora il mese mariano ha la sua chiusura con la
celebrazione della Santa Messa nel Santuario della Madonna del Popolo,
nella Vigilia della Solennità dell'Ascensione di nostro Signore Gesù
Cristo al cielo. Il mistero glorioso di Cristo che lascia questa terra non
ci induce alla tristezza perché egli rimane sempre con noi e lungi dal
portarci fuori dai problemi caldi della vita terrena costituisce invito
a guardare alla concreta realtà di ogni giorno e a metterci al lavoro.
"Uomini di Galilea" - troviamo scritto nel libro degli Atti degli
Apostoli- "perché state a guardare il cielo?". L'opera che Gesù ha
compiuto avrà continuità attraverso la vostra collaborazione. "Come il
Padre ha mandato me, io mando voi", dice Gesù agli apostoli. "Annunciate,
testimoniate, battezzate, insegnate ad osservare i comandamenti".
Tutti siamo coinvolti in una altissima missione di amore universale, per
il bene e la salvezza dell'uomo, di ogni uomo.
don Francesco
Comunità in festa
12 Maggio 2014
Accogliamo il triplice richiamo all’attenzione e alla preghiera che viene a noi dalla celebrazione della domenica IV di Pasqua, seconda domenica di maggio.
Innanzitutto il pensiero si volge a Cristo Signore. Egli è il buon pastore che offre la sua vita. Egli è colui che cammina davanti per guidare il gregge lungo percorsi sicuri. Egli conosce le pecore una per una e le chiama per nome; a sua volta le pecore riconoscono la sua voce e lo seguono. Si parla di pecore e di gregge, ma in realtà è di noi che si tratta, di noi uomini e donne di questo tempo e di tutti i tempi, di noi che ascoltiamo e crediamo e delle nostre comunità. Egli è venuto perché abbiamo la vita e la riceviamo in abbondanza. Soltanto lui ce la può donare.
Nello stesso tempo il nostro pensiero e quello della comunità parrocchiale si volge ai 52 fanciulli che, giunti a conclusione di un positivo cammino di preparazione, celebrano i sacramenti della Confermazione e della Prima Comunione. Si compiono per loro due parole importanti pronunciate da Gesù. “Ricevete lo Spirito Santo”, ha detto per indicare la completezza dei doni divini che il Sacramento apporta; “rimanete in me ed io in voi”, ha aggiunto per indicare una cammino di crescita da compiere in profonda comunione tra le anime giovanili e il Signore stesso. “Chi rimane in me ed io in lui porta molto frutto”.
Infine la concomitanza con la “Festa della mamma” ci invita ad entrare in sintonia con le famiglie e con le case, per un ringraziamento, una invocazione, un rinnovarsi dell’impegno. Qui il pensiero si innalza verso Maria, la Madre del Signore e Madre nostra. A lei affidiamo tutte le mamme, sotto la sua protezione mettiamo tutte le nostre famiglie.
don Francesco
Allora si aprirono i loro occhi
03 Maggio 2014
La domenica terza, continuando la meditazione pasquale, ci
propone il racconto della apparizione di Gesù a due discepoli
in cammino sulla strada che porta al villaggio periferico di
Emmaus. Esso è preceduto da una pagina che riporta parte del
discorso di Pentecoste nel capitolo 2° degli Atti degli
Apostoli e da un passaggio della prima lettera di San Pietro.
E' opportuno per noi cogliere alcuni suggerimenti. Nel
discorso si insiste principalmente sul fatto della profezia.
Tutto quanto è avvenuto nei giorni di Passione Morte e
Risurrezione è stato adempimento, preannunciato dai profeti,
di un piano di salvezza preparato e attuato dalla bontà del
Signore per la salvezza del mondo. Nulla avviene per caso e
questo è la prova che l'amore e la Provvidenza di Dio
accompagnano lo svolgersi dell'intera storia umana. La
seconda lettura mette principalmente l'accento sulle
sofferenze affrontate dal Redentore e vuole richiamarci al
pensiero che l'amore vero è certamente gratuito ma ha un
prezzo, chi ama ha un costo da pagare. "Foste liberati dalla
vostra vuota condotta con il sangue prezioso di Cristo". Se
perciò vogliamo ricambiare l'amore ricevuto da Dio e cerchiamo
di vivere nell'amore, questo non potrà essere fatto a cuor
leggero, con sole parole. Nella pagina evangelica infine
sostiamo su due momenti ancor oggi fondamentali per la vita
cristiana. Con i due discepoli ripetiamo: "Resta con noi,
Signore". In tutte le ore del giorno ma soprattutto la sera e
quando viene la notte sia con noi il Signore Gesù, sentiamo il
bisogno della sua presenza. E i nostri occhi si aprano a
riconoscerlo in tutte le circostanze, a partire dal momento
mistico della celebrazione eucaristica, la Santa Messa.
Riconosciamolo e incontriamolo " nello spezzare il pane".
don Francesco
Due santi che abbiamo visto e incontrato
26 Aprile 2014
Ci uniamo al coro festoso della Chiesa che innalza lodi e ringraziamenti
al Signore Dio nei giorni che i grandi Pontefici Giovanni XXIII e Giovanni
Paolo II vengono canonizzati. Essi hanno ravvivato e confermato nella
fede il popolo cristiano e hanno indicato con chiarezza le vie della
riconciliazione e della pace alle nazioni e all'intera umanità. In
particolare il primo ha impresso una svolta al cammino della Chiesa con la
convocazione del Concilio Vaticano II, con l'azione incessante per la pace
alla fine affidata alla grande enciclica Pacem in terris, con gesti
semplici di accoglienza benevolenza e tenerezza, con parole
indimenticabili quali quelle che invitavano a guardare la luna, a portare
a casa per i bambini la carezza del Papa e soprattutto quelle che
invitavano a diffidare "dei profeti di sventura" e a guardare invece al
futuro nella fiducia di una rinnovata Pentecoste. Del lungo e
straordinario pontificato di Giovanni Paolo II, ancora vivo nella memoria
collettiva, primo Papa non italiano dopo 450 anni, che si definì "il Papa
venuto da un paese lontano", ricordiamo con commozione due affermazioni
fondamentali. Nell'omelia della S. Messa di insediamento, rivolto ai
cristiani e a tutta l'umanità proclamò con forza:"Non abbiate paura;
aprite, spalancate le porte a Cristo"; per concludere in uno degli ultimi
scritti con l'esortazione:"Prendete il largo, affrontate il mare aperto!
Questo vi è richiesto all'inizio del terzo millennio".
Questi Papi rappresentato meravigliosamente il volto della Chiesa:
consapevole della missione divina ricevuta, accogliente verso tutte le
persone, fiduciosa e serena nel cammino positivo della umanità. Nella
certezza del compimento della promessa di Gesù:"Io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del tempo".
don Francesco
Nella fedeltà dell'amore
29 Marzo 2014
Il miracolo del recupero della vista da parte di un uomo che era
completamente cieco, è occasione, nel vangelo secondo Giovanni di questa
domenica IV di quaresima, per una riflessione sulla luce e sulla fede. La
luce in senso assoluto è senz'alcun dubbio Gesù stesso, che afferma con
chiarezza: "Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". La luce
invece, che entra in relazione con la vita dell'uomo, con ciascuno di noi,
è la fede. "Questo è il paradosso - esclamava il cieco diventato vedente -
che Lui mi abbia guarito e che voi non sappiate chi egli sia". E Gesù
aggiunge:"Io sono venuto perché coloro che non vedono, vedano". Da questo
deriva una prima indicazione che dà San Paolo, quella di lasciarsi
illuminare da Gesù:"Tu che dormi svegliati alla luce che viene, è Cristo
che ti illuminerà", ne segue una seconda che ne è conseguenza diretta:
"Eravate nella tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi come
figli della luce".
A partire da queste affermazioni il discorso assume i caratteri
dell'impegno e della vita pratica, poiché "il frutto della luce consiste
in ogni bontà, giustizia e verità". Queste tre parole contengono un
programma di assoluta attualità. Infatti non crediamo più che ci sia una
verità da scoprire e da seguire; siamo diventati sempre meno sensibili
alle situazioni che reclamano impegno per la giustizia; mettiamo
regolarmente la bontà dietro la convenienza e la forza. I temi
fondamentali della società regolarmente si presentano e non dovremmo
sfuggirli.
don Francesco
Nella fedeltà dell'amore
15 Marzo 2014
Nella seconda tappa della Quaresima la Liturgia domenicale ci propone un
riflessione serena ma anche serrata sul tema della fede.
"Per fede Abramo", è scritto nella lettera agli Ebrei. E' appunto la fede
a indurre il grande patriarca a seguire l'invito di uscire dalla sua
terra, dal suo paese, dalla sua famiglia per seguire il tracciato che di
volta in volta la Voce, la Parola divina, Dio stesso gli avrebbe indicato.
Per fede dunque Abramo ha osato, ha rischiato, è andato incontro
all'ignoto, si è fidato, si è affidato, ha agito. Egli era convinto che
tutto questo non sarebbe stato invano. "Aspettava infatti la città dalla
salde fondamenta il cui architetto e costruttore è Dio stesso"; era
convinto che Dio può fare cose a prima vista impossibili, perché " è
capace anche di far risorgere dai morti".
Ma in ogni situazione sono indispensabili costanza e perseveranza, è
necessario che la fede diventi fedeltà. E' quanto lascia presagire il
grande evento della Trasfigurazione, che il Vangelo riporta in uno snodo
fondamentale della vita pubblica di Cristo, quando egli prende la
decisione di andare a Gerusalemme, la città santa nella quale si
compiranno Passione morte e risurrezione. Gesù non si tira indietro: "Egli
è il Figlio amato che sceglie di compiere la volontà del Padre". I
discepoli non potranno fare altro che seguirlo, stare e andare con lui. La
voce del Padre è chiara:"Ascoltatelo!". Sarà la via della Croce, a
percorrere la quale Gesù ha convocato tutti suoi. Si tratta di una legge
di vita che attraversa i tempi. Il bene è difficile e domanda tanto
impegno, soprattutto ai discepoli, a quelli che si dicono cristiani. "Con
la forza di Dio soffri con me per il Vangelo", per amore di Cristo e dei
fratelli, scrive l'apostolo Paolo. Dove ci sono fede e amore non può
mancare una parte di sofferenza.
don Francesco
La tentazione nel Paradiso terrestre nel deserto nella vita quotidiana
09 Marzo 2014
Nell’esordio quaresimale del Mercoledì delle Ceneri numerosi cristiani si sono portati nelle chiese per ricevere sul capo il segno penitenziale, in tal modo accogliendo dentro di sé l’appello biblico alla penitenza, l’appello evangelico alla conversione, l’appello ecclesiale alla riconciliazione. Nella stessa celebrazione ricevevano un impegno di vita per i quaranta giorni, il mandato di dedicarsi alla preghiera e all’amore del prossimo e di attuare un severo costume di vita.
Proseguendo l’itinerario, a distanza di quattro giorni, questa domenica prima di Quaresima propone dei testi biblici che costituiscono una messa in guardia contro i pericoli della tentazione, quella prova dello spirito, che assume il tono della serietà e del dramma soltanto se sentiamo il dovere di affrontare le scelte fondamentali della vita sotto lo sguardo del Signore.
Fidarsi o non fidarsi di Dio? Obbedire alla parola di Dio o disattenderla? Davanti a queste alternative Adamo ed Eva hanno fallito clamorosamente e disgraziatamente. Di conseguenza, commenta San Paolo, “il peccato è entrato nel mondo, con il peccato è entrata la morte, peccato e morte si sono propagati”.
Ma quali scelte fondamentali doveva compiere il Cristo – lui che era il Figlio di Dio- accingendosi alla sua missione, dopo i lunghi anni di vita silenziosa e dopo l’investitura ufficiale nel Battesimo?
Il tentatore, satana, il diavolo, in tre riprese successive di grande suggestione, dava a Gesù, che si proponeva come Messia e Salvatore, le sue indicazioni, gli mostrava le vie dell’avere e possedere, dell’apparire e del godere, del potere e governare. Gesù invece, con parole diventate punto di riferimento indispensabile per ognuno che voglia seguire il Vangelo, replicava con chiarezza e durezza: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”; “non provocare il Signore tuo Dio”, “adorerai il Signore tuo Dio, lui solo servirai”. Affermava il primato di Dio, sia come origine che come fine della vita dell’uomo.
La tentazione che ha provocato la caduta di Adamo e le tentazioni che Gesù ha superato sono le stesse tentazioni che noi conosciamo, incontriamo, dobbiamo affrontare lungo il cammino della nostra vita. San Paolo nella conclusione della seconda lettura indica la soluzione: c’è stata la ribellione di Adamo da cui è derivato il disastro, la disobbedienza di molti; c’è stata l’obbedienza di un uomo, il solo Giusto, che ha portato la salvezza, la forza di trasformare il nostro cuore e di rivestire di giustizia la nostra vita.
don Francesco
Messaggio cristiano e ricchezza
01 Marzo 2014
Nella domenica che precede il Mercoledì delle Ceneri, inizio dell'austero tempo penitenziale della Quaresima, la liturgia ci invita a considerare la complessa, difficile, insidiosa, terribile questione del rapporto con il denaro, con la ricchezza. Il Signore dice:"Non potete servire Dio e la ricchezza". Si presentano fondamentalmente quattro argomenti ai quali bisogna dare risposte non teoriche ma di azione concreta. Il primo è rappresentato dalla visione di fondo che parte dal mistero della creazione. Dio è il Signore di tutta la terra, a lui solo appartiene il mondo che egli affida ad ogni uomo e ad ogni donna, all'umanità nel suo insieme, come corresponsabili del benessere collettivo e sociale e dell'equilibro ecologico globale, in spirito di autentica solidarietà. E' questa la vocazione dell'uomo come abitante della terra. Il secondo riguarda ancora una scelta ideale, la ricerca dei valori grandi, che devono stare alla base di tutte le singole scelte. Il fascino ingannevole della ricchezza non può essere superato con considerazioni di buon senso ma soltanto in una dimensione di tensione superiore verso una giustizia che viene dall'alto. "Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Il terzo argomento riguarda l'esigente precetto del "non rubare", oggi enfatizzato non a torto nei confronti di certe categorie ma troppo sottovalutato nella condotta ordinaria delle persone. A ben vedere la semplicissima regola "unicuique suum" (a ciascuno il suo), ci accompagna dovunque come appello alla responsabilità e risulta molto esigente. Infine resta la considerazione di chi è derubato, sfruttato, privato dei suoi beni, delle cose essenziali e perfino della sua dignità. La parola biblica e la preghiera cristiana insistono perché il cuore si apra ad un conforto e ad un intervento che agli occhi umani sembrano talvolta impossibili. Nel libro del profeta Isaia però è scritto."Nessuno dica: il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato"; con il Salmo siamo invitati a pregare:"Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, protegge i forestieri, sostiene l'orfano e la vedova.."; Gesù stesso ci assicura: "Il Padre vostro celeste sa di che cosa avete bisogno".
don Francesco
Scegli dunque la vita
25 Febbraio 2014
Nella domenica VII ascoltiamo la parola divina che invita ad una vita segnata dal desiderio di imitare lo stile di Dio:”Siate santi, come io sono Santo. ….siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. Questa imitazione consiste – lo indica bene il testo sacro - nel tendere alla pienezza dell’amore, passando dalla regola base “amerai il tuo prossimo come te stesso”, a quella più alta che chiede di “amare i nemici e di pregare per i persecutori, per essere veri figli del Padre celeste, il quale fa splendere il sole e manda la pioggia sia per i giusti che per gli ingiusti”.
Questo messaggio, è accompagnato da una specificazione che diventa quasi un completamento. L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, conclude un suo ragionamento relativo ad una vita animata da quella sapienza, che è dono dello Spirito Santo, con queste parole:”Tutto è vostro: il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro. Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio” . Vi troviamo il richiamo alla responsabilità verso se stessi e verso tutti, la piena coscienza di appartenere solo a Dio, l’appello a non lasciarsi abbandonare in balia di una libertà slegata da tutto, la chiamata alla decisione, a non chiudere gli occhi davanti alla verità ma a scegliere tra la vita e la morte. “Scegli dunque la vita”, è stato scritto da Mosè.
Nello spirito di queste sante parole la Parrocchia celebra “il sacro Triduo”, l’annuale ricorrenza dei tre giorni di raccoglimento, di preghiera, di affidamento delle anime dei defunti al Signore. Questa memoria, se bene vissuta, rappresenta un buon correttivo alla condotta di vita.
don Francesco
L’osservanza dei comandamenti custodisce la nostra vita
17 Febbraio 2014
Tre espressioni delle letture sembrano riassumere molto bene il messaggio della Liturgia della Domenica sesta.
Innanzitutto si parla di “una sapienza che è nel mistero e viene dall’alto; che il mondo non conosce e che pure i dominatori di questo mondo ignorano”. Di quale sapienza si tratta? E’ la sapienza di chi decide di attenersi al comandamento del Signore e ogni giorno persegue un cammino di fedeltà, in spirito di servizio d’amore verso Dio e verso il prossimo.
Questo non potrà avvenire che come atto di libertà, dal momento che davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male e ad ognuno sarà dato quello che sceglierà. Ma è evidente che solo “se avrai fiducia in Lui, avrai la gioia della vita”; poiché “se tu vorrai osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno”. E’ questa una osservazione, anzi una constatazione bella e molto profonda. L’obbedienza ai precetti del Signore, custodisce la vita dell’uomo.
La parola del Vangelo si presenta infine come richiamo a perseguire le finalità di giustizia e di amore che sono racchiuse nei comandamenti. Non la legge per la legge, ma la norma come indicazione della via da perseguire per raggiungere già su questa terra i traguardi di una vera umanità, di una esistenza da figli di Dio, già partecipi del regno, in attesa del suo pieno disvelamento. Gesù è venuto non ad abolire la legge, ma a dare piena realizzazione. Lo conferma anche l’apostolo Paolo quando scrive che“pieno compimento della legge è l’amore”.
don Francesco
Parlare di Dio guardare Gesù
09 Febbraio 2014
A Corinto, città nella quale San Paolo aveva soggiornato non poco tempo dando vita ad una fiorente comunità cristiana, erano giunti altri annunciatori del Vangelo, creando sorpresa a motivo di una predicazione colta e affascinante ma involontariamente portando quei cristiani a dare delle valutazioni sulle persone piuttosto che ad approfondire il loro sguardo su Gesù. Per questo l’apostolo delle genti all’inizio della sua prima lettera, scritta appunto ai Corinzi, li richiama alla sostanza della fede. Davanti all’annuncio evangelico non si tratta di usare parole preziose o di fare discorsi di alta cultura; è necessario invece mettersi in profondo ascolto e guardare a Gesù, alla sua vita, alla sua passione, alla crocifissione, all’amore per il quale è giunto a sacrificare la sua vita per noi. “Venendo tra di voi, ritenni di non sapere altro se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. E’ per questa ragione che Egli è diventato la “ luce che illumina le genti”, la “luce che rischiara il mondo”.
A partire da questa indispensabile precisazione - così la possiamo considerare - la liturgia della Domenica quinta ci propone caldamente di accogliere il sorprendente ed impegnativo compito che Gesù stesso affida a coloro che vogliono essere suoi discepoli:”Voi siete il sale della terra,…voi siete la luce del mondo”. Come sarà mai possibile adempiere questo grande mandato di infondere speranza ai vicini e ai lontani, di trasmettere alle persone che incrociamo sul nostro cammino il senso, il gusto, l’entusiasmo della vita? Sarà possibile nella misura che, guardando con fede a Gesù, cercheremo di imitarlo secondo lo spirito delle Beatitudini. “Vedranno le vostre opere buone e renderanno gloria al Padre che è nei cieli”.
don Francesco
Il simbolo della candela
01 Febbraio 2014
Prendere una candela, portarla a casa, custodirla per accenderla in
particolari circostanze della vita familiare per esprimere così una
invocazione a Colui che è la luce dalla quale tutto deriva, l'unica luce
per la quale è dato all'uomo di vedere e manifestare il desiderio di
venire illuminati dalla sola luce che "illumina ogni uomo che viene nel
mondo", "la luce che rischiara la notte dell'umanità ", "la luce che
illumina le genti ". La Celebrazione del 2 febbraio porta con sé numerosi
significati: la Presentazione al tempio del Signore, l'incontro del
Salvatore con l'umanità che l'aspetta, la profezia della spada che
trapasserà l'anima purissima della Vergine Madre, la memoria del senso
della consacrazione personale compiuta dai religiosi e dalle religiose,
infine tutti i valori sottesi all'annuale celebrazione, da parte della
comunità cristiana, della giornata della vita.
Dalla Liturgia poi emergono principalmente due indicazioni che vengono a
richiamare il percorso della fede e dell'impegno. Prima di tutto la
condivisione che si fa vicinanza ed elimina ogni barriera. "Poiché i figli
hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è
diventato partecipe". Quello dunque che Gesù ha fatto diventa regola per
ogni cristiano e a ben vedere per ogni uomo. In secondo luogo, ma
strettamente congiunta alla prima, deriva anche la l'esigenza di prendere
posizione e di scegliere. "Egli è qui per la caduta e la risurrezione di
molti in Israele e come segno di contraddizione". Poiché le cose raramente
vanno da sé, la libertà è chiamata a scegliere e a orientarsi. "Chi non è
con me è contro di me", dice il Signore.
don Francesco
Il diritto con verità e fermezza
11 Gennaio 2014
Nelle letture della Domenica del Battesimo di Gesù, al centro della quale
sta l'evento che ha consacrato il Messia per una missione da attuare "in
Spirito e potenza" e di conseguenza si colloca l'appello rivolto ai
battezzati perché recuperino i significati del Sacramento che li lega
indissolubilmente a Cristo e li rende partecipi della sua missione,
sorprende che l'enfasi cada sulle parole diritto e giustizia. Non c'è
dubbio che nei testi esse hanno un significato specificamente religioso,
ma per il lettore/ascoltatore moderno non è possibile udire queste parole
senza reagire in riferimento alla dolorosa e pesante realtà del presente.
Va notato che protagonista delle parole della Scrittura che qui sono
riportate è Gesù, nel quale si raccoglie ogni bene e dal quale solo può
partire ogni azione possibile e necessaria. Ascoltiamo dunque questo
messaggio. Partiamo dal Vangelo secondo Matteo e riflettiamo seriamente:
"Conviene che adempiamo ogni giustizia". Passiamo attraverso il libro
degli Atti degli Apostoli e decidiamoci:"Dio accoglie chi lo teme e
pratica la giustizia". Arriviamo infine al profeta Isaia il quale fa
riferimento alla nativa vocazione umana e perciò afferma:"Ti ho chiamato
per la giustizia". Non si potrebbe inventare in modo diverso un programma
importante e impegnativo come questo. Ma non può passare sotto silenzio un
altro aspetto. Il profeta parla anche del diritto, del diritto e non dei
diritti. I moderni infatti amano moltiplicare e inventare diritti sempre
nuovi, anche i più assurdi. E' scritto nel testo:"Proclamerà il diritto
con verità;.porterà il diritto alle nazioni;...stabilirà il diritto sulla
terra". Non diritti individuali, a misura dei gusti che cambiano o degli
interessi prevalenti ma la capacità e la forza, "senza gridare e senza
alzare i toni", di proporre e di attuare il diritto, ciò che è giusto e
valido per tutti. "Guida alle nazioni e alleanza del popolo".
don Francesco
Il Signore benedica e protegga
30 Dicembre 2013
La bella celebrazione del Natale - la quale tuttavia a giudizio degli osservatori ha visto, rispetto al recente passato, un numero inferiore di partecipanti alle Liturgie - ha realizzato anche quest’anno momenti intensissimi di manifestazione di fede, di contemplazione e di preghiera. Il Natale ha costituito ancora una volta un appuntamento collettivo dove davvero molti si sono ritrovati, essendo evidente la necessità di trovare spazi adatti per la contemplazione, il silenzio, la meditazione e l’orazione. Dice la Scrittura che il nome del bambino Gesù nel simbolo diventa Emmanuele, cioè Dio con noi. Non esiste infatti un Dio che sia soltanto per me, per il singolo; Egli viene incontro all’intera umanità. E’ Dio per noi, Dio con noi.
Nel frattempo i giorni continuano la loro corsa inarrestabile ed ecco venire dopo il Natale la Festa della Sacra Famiglia. Partendo dall’immagine della piccola, esemplare famiglia di Nazaret, siamo portati a pensare e a pregare per le nostre famiglie e per tutte le famiglie. Anche a questo riguardo sentiamo il bisogno di una ripresa, di un nuovo slancio, di entusiasmo. Il testo sacro ce lo conferma quando ci indica nello stesso tempo la fonte a cui attingere e la realizzazione. “La parola di Dio abiti tra di voi con abbondanza”. “Al di sopra di tutto vi sia l’amore, che tutto unisce nel segno della perfezione”. Un bel modo di continuare il cammino.
Così giungeremo alla sera dell’ultimo dell’anno, quando ci raccoglieremo per il canto di ringraziamento e all’inizio dell’Anno 2014 che affideremo alla grazia e alla bontà del Signore.
“Il Signore benedica e protegga. Volga verso di noi il suo volto e ci conceda pace”.
don Francesco
Non temere a prendere con te Maria
20 Dicembre 2013
Ci avviciniamo con vivo senso del sacro al testo evangelico che ci parla di Giuseppe e della sua decisione di uscire, in silenzio possibilmente senza creare problemi e nel pieno rispetto di Maria, dalla situazione difficile nella quale si trova. Sappiamo infatti che sotto la superficie degli avvenimenti si può nascondere qualcosa di misterioso e di santo, di divino.
Giuseppe non lo sa ma nel disegno di Dio è scritto che egli dovrà diventare a tutti gli effetti sposo di Maria. Dando inoltre al bambino il nome, dovrà garantire agli occhi di tutti che il piccolo è inserito nell’anello della discendenza della famiglia di Davide e quindi a pieno titolo sarà chiamato “figlio di Davide”.
La narrazione evangelica ci riferisce che sarà l’apparire un angelo durante il sonno a convincere Giuseppe a compiere i due passi indispensabili, prima “prendere Maria come sposa” e poi imporre il nome al bambino:”lo chiamerai Gesù”. Doveva appartenere ad una famiglia ebraica per poter appartenere al popolo messianico.
Ma il testo evangelico, richiamando la grande profezia che è al capitolo VII di Isaia, dice di più perché mette in rilievo che in tal modo si compie la parola del Signore: “Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”. Per Giuseppe si trattava quindi di consentire, in spirito di obbedienza ma con fede ed amore, al compiersi di un’azione più grande, il disegno della salvezza degli uomini attraverso l’intervento diretto di Dio. L’uomo giusto – così è definito Giuseppe – non poteva se non aderire con totale disponibilità.
Quindi “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore”.
don Francesco
Preparate la via del Signore
16 Dicembre 2013
La figura austera di Giovanni Battista si erge nella domenica terza di
Avvento per essere "colui che prepara la via a Colui che deve venire". Si
trovava sulla riva del fiume Giordano, ai margini del deserto, parlava
alla gente e la invitava a creare le condizioni spirituali necessarie per
accogliere la visita del Signore: prima abbassare le alture cioè bandire
ogni forma di superbia o senso di superiorità, poi colmare i fossati cioè
dare spazio alla fiducia superando ogni forma di scetticismo rinuncia e
rassegnazione, infine raddrizzare i sentieri cioè eliminare ogni tipo di
ambiguità falsità e inganno. Amministrava un Battesimo di penitenza e di
conversione per il perdono dei peccati.
Ma chi era quest'uomo che il profeta Isaia definiva come "messaggero di
Dio davanti al Messia"? Chi era Giovanni Battista? Gesù chiedeva questo ai
suoi stessi interlocutori, con due domande: "Chi siete andati a vedere nel
deserto"? Sicuramente non avevano visto "una canna sbattuta dal vento", ma
un albero sicuro e resistente, una roccia incrollabile, un uomo sicuro e
coerente, un vero testimone di Dio. Sicuramente non avevano visto un
"personaggio vestito con abiti di lusso", ma una persona severa, austera,
autentica, volta all'essenziale, non schiava delle forme e delle
apparenze. "Avete visto un profeta e più che un profeta, il più grande fra
i nati da donna".
Mentre oggi guardiamo a questo grande uomo, in carcere nel preciso momento
di questa pagina del Vangelo, ci disponiamo ad ascoltarlo per percorrere
la strada dell'incontro con Gesù nei giorni del Natale e in ogni giorno
del nostro cammino. Ascoltiamo pure la voce della Chiesa, che invita alla
gioia, perché l'avvicinarsi di Gesù comporta la conversione e una vita
rinnovata. "Rallegratevi, il Signore è vicino".
don Francesco
Accorgersi e vegliare
01 Dicembre 2013
Questa domenica 1° dicembre prende inizio l'anno liturgico, quello che nel
trascorrere dei giorni vuole tenere al centro della vita il mistero
cristiano, cioè Gesù Cristo il Vivente, che ha dato la vita per l'umanità,
che realmente è presente nella storia umana, che la Chiesa e i cristiani
riconoscono come Signore, lodano, ringraziano e cercano di servire. Sono
anche chiamati ad amarlo, benché non riescano a farlo come dovrebbero,
"con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutte le
forze".
Tre pensieri diversi eppure convergenti sono suggeriti dalle letture
della prima domenica di Avvento. Corriamo il rischio - l'ammonimento è
rivolto ad ogni singola coscienza - di non accorgerci del Cristo che ci
viene incontro, che si avvicina, che viene per noi, che si fa presente
nella nostra vita. E' quanto Egli stesso, facendo il paragone con i tempi
del diluvio, ci dice con un accenti di preoccupazione:"Mangiavano,
bevevano..e non si accorsero di nulla". Un velo di indifferenza sembra
spesso fasciare il nostro spirito, così da toglierci la sensibilità per le
cose dell'anima, rinchiuderci in noi stessi e impedirci di aprirci alla
voce e alla luce che viene dall'alto col rischio di non essere salvi. "E
venne il diluvio e travolse tutti".
Un secondo pensiero ci è suggerito come comunità e riguarda il nostro
comportarci da cristiani in questo mondo. E' l'apostolo Paolo che fa
sentire la sua voce a questo riguardo. Non siamo più nella notte - egli
scrive - si è fatto giorno, la luce è splendente ed allora come è
possibile avere ancora dei comportamenti che richiamano l'oscurità della
notte? Guai a noi, se chiamati a risplendere di una luce luminosa qual è
quella di Cristo non abbandoniamo del tutto quei comportamenti che sono
all'opposto, cioè "le ubriachezze, le lussurie, le orge , i litigi e le
impurità e le gelosie".
Ma la luce di Dio brilla davvero sulla scena del mondo e chi vuole la
intravede, magari lontana, ma non così incerta da non giustificare un
cammino, forse lungo ma sicuro, di ricerca e di speranza. Il profeta
simbolicamente contempla le nazioni in cammino, verso la luce della città
che simbolicamente è la città dell'incontro di tutti con il Signore.
Ascolteranno la sua parola, riceveranno la sua legge, si disporranno a
camminare lungo i suoi sentieri e a percorrere le nuove vie della
riconciliazione, della giustizia e della pace. "Casa di Giacobbe",
conclude il profeta rivolgendosi a tutti noi, "camminiamo nella luce del
Signore".
don Francesco
Cose urgenti e cose permanenti
24 Novembre 2013
Tre pensieri molto diversi, che condensano sentimenti e preghiere,
caratterizzano questi giorni che vanno verso l'ultima domenica dell'anno
liturgico, la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo.
Dapprima il pensiero delle vittime delle alluvioni, determinatesi prima
nel lontano Stato delle Isole Filippine e poi vicino a noi in Sardegna.
Non abbiamo parole di fronte ai drammatici eventi di morte, di
distruzione e di sofferenza. E' abitudine ormai parlare di colpevoli,
cercando i capri espiatori di turno, ma forse è opportuno anche che ci
fermiamo di fronte a certi eventi che ci appaiono più grandi noi e ne
traiamo propositi a perseverare in fedeltà nel compimento dei nostri
doveri dovunque ci troviamo e a continuare e nell'esercizio delle nostre
responsabilità, giorno dopo giorno. In un secondo momento, accogliendo la
proposta che è nel Calendario annuale della Diocesi, pensiamo al
Seminario di Brescia, al luogo - ambiente di formazione spiritualità e
scuola - dove alcuni giovani, attualmente in numero inferiore rispetto
alle esigenze, si preparano alla vita sacerdotale. La comunità
parrocchiale si senta vicina al Seminario e si unisca in quella
invocazione che il Signore stesso ha suggerito:"Pregate il padrone della
messe, perché mandi operai nella sua messe". Per quali ragioni sono così
scarse le vocazioni? Non perché i giovani sono più fragili di un tempo e
più indecisi, ha scritto qualcuno, ma perché meno evidenti alla coscienza
dei credenti sono tre grandi realtà: il valore unico e definitivo di
Cristo, la bellezza della comunità cristiana e la forza liberante del
Vangelo.
Infine pensiamo a Gesù Cristo, sempre vivo e presente sul nostro cammino e
su quello dell'intera l'umanità, e disponiamoci a vivere intensamente la
Festa di Cristo Re. Con San Paolo "ringraziamo con gioia il Padre che ci
ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del
Figlio del suo amore". Ancora una volta ci si parla di libertà e di
amore, i valori che costituiscono il nucleo essenziale della scelta per
Dio.
don Francesco
Il Dio dei viventi
12 Novembre 2013
Viva speranza e richiamo alla responsabilità costituiscono i messaggi del Domenica XXXII.
L’uomo è in ricerca, si ama sottolineare con un certo compiacimento. Ma spesso entrano in campo la critica corrosiva, lo scetticismo ed anche una certa dose di disprezzo per l’interlocutore. Ebbene quando il classico gruppo di coloro che non credono narra una storiella sul tema della risurrezione e della vita eterna per prendersi burla di lui e delle sue posizioni, Gesù lascia cadere l’aspetto di sfida e di sarcasmo contenuto nella provocazione per offrire risposte fondamentali, da accogliere in tutta la loro portata.
Gesù risponde affermando che, quando pensiamo a Dio, noi dobbiamo pensare a Colui che dà esistenza e vita a tutta la realtà, perché: “Egli è il Dio dei viventi, per il quale tutti vivono”. E quando siamo davanti alla dolorosa esperienza del morire non dobbiamo lasciarci andare ai pensieri del disfacimento e del nulla ma fermarci a cogliere il mistero di una creatura che è amata e non viene dimenticata. Per l’intervento di Colui che è la Risurrezione e la vita i corpi mortali entrano in una nuova esistenza, nell’immortalità: ”Saranno come Angeli di Dio in cielo”.
Bando dunque alle diverse forme di scetticismo, di materialismo, di insensibilità verso il mistero nella sua totalità, verso il Mistero di Dio e quello del suo legame con le sue creature.
Una indicazione forte viene a noi anche dalla prima lettura, che porta l’attenzione sul tema della testimonianza da dare in faccia agli uomini. La fede non può essere occultata per timidezza, per paura, per convenienza ma deve essere manifestata. Ai figli che potevano sentire tutta la debolezza di fronte alle minacce alla tortura e alla morte, la madre diceva parole di conforto e di incoraggiamento a resistere, a restare fedeli fino in fondo.
don Francesco
Tutte le sere
04 Novembre 2013
“Tutte le sere , prima di andare a letto, quando mi inginocchio per baciare la terra e dire grazie a lei e a chi l’ha creata, penso agli amici che se ne sono andati per raggiungerla quale terra del cielo”. Queste parole scritte da un uomo di fede vivente, noto anche al grande pubblico, esprimono al meglio il significato spirituale e religioso delle giornate che viviamo, la Solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione dei defunti. In primo luogo invitano a volgere lo sguardo al mistero di Dio sublime e santo, che non solo ha creato l’uomo e la donna, ma li ha voluti suoi interlocutori privilegiati e li ha innalzati alla dignità di figli. Sullo sfondo intravediamo anche il dramma del peccato e della Redenzione, il dono della salvezza attraverso la passione morte e risurrezione di Cristo e il nostro legame con lui attraverso l’obbedienza della fede. In un secondo momento sembra che la parola ”ritornate figli dell’uomo” risuoni come invito a pensare l’esperienza del morire non come termine ultimo, la dissoluzione, ma come trasformazione, evento di passaggio, da una abitazione terrestre alla casa del cielo. Quando potremo stare “sempre col Signore”. In un terzo momento vengono evocati i legami profondi della vita, le amicizie, le persone incontrate e amate che non si possono dimenticare. I giorni dei Santi e dei Defunti diventano giorni di memoria e di comunione. Pertanto mentre il pensiero si apre alla gratitudine uno spirito di pace viene ad occupare il cuore.
don Francesco
Ringraziare e camminare
12 Ottobre 2013
Scelgo due espressioni che sono nella Liturgia della Domenica XXVIII per
sottolineare il passaggio di attenzione nella nostra vita parrocchiale.
Domenica 29 settembre -data esatta dell'anniversario della dedicazione
della Basilica di S. Maria degli Angeli - è stato il punto d'arrivo di un
anno molto intenso e nello stesso tempo il giorno nel quale si sono
concluse le celebrazioni del 500°. Abbiamo scritto a suo tempo: "Cinque
secoli di storia e di fede. L'anima mia magnifica il Signore". Ed appunto
la prima espressione che ci piace accogliere dalla liturgia è quella del
ringraziamento. Nella circostanza del miracolo della guarigione di dieci
lebbrosi, Gesù faceva notare che soltanto uno fra i dieci beneficati era
tornato indietro per ringraziare. Ebbene noi oggi sentiamo il dovere di
rendere grazie a Dio, a lui in primo luogo, per tutte le cose belle che
ci è stato possibile vivere ed esprimere lungo un anno. Ma nello stesso
tempo desideriamo ringraziare tante persone che hanno aiutato in modi
diversi, le quali hanno contribuito a fare della ricorrenza un evento
positivo per tutta la comunità.
Il ritmo del tempo, dei doveri e degli impegni poi continua a interrogarci
e pertanto dobbiamo guardare avanti e continuare il cammino. C'è stata
l'apertura dell'anno pastorale 2013/2014 ed adesso si tratta di procedere
nel migliore dei modi, procedendo con buona lena e buono spirito.
Con quale stile? Ci aiuta a questo riguardo un'altra espressione della
Liturgia, quella che ci sollecita a perseverare con Cristo per regnare
insieme con lui. "Perseverare" è parola che richiama la tenacia, la
resistenza, l'impegno necessari per affrontare la fatica del cammino;
mentre "lo stare uniti a Cristo" ci assicura da una parte l'indispensabile
compagnia e dall'altra ci apre alla dimensione più alta del pensare, del
progettare, dell'agire e dell'amare.
don Francesco
Il Signore ha avuto fiducia di me
17 Settembre 2013
“Gesù Cristo nostro Signore ha avuto fiducia di me e mi ha messo al suo servizio”. Queste parole che si leggono nella seconda lettura della Liturgia di domenica XXIV si riferiscono all’esperienza viva di S. Paolo e costituiscono nello stesso tempo una adatta apertura della Settimana vocazionale che la Parrocchia intende vivere. Al discorso pratico secondo il quale l’azione ordinaria ed il rinnovamento della Chiesa passano necessariamente attraverso l’apporto di forze nuove si aggiungono il riferimento ideale della vita intesa come servizio al Signore attraverso il servizio ai fratelli e la considerazione della fede come dedizione totale a Colui che per primo ha fiducia in noi e quindi chiama. Viviamo questi giorni nello spirito che è suggerito dalla bella introduzione che si trova nel fascicolo per il 500° della Basilica.
“Signore, qual è la mia strada?” chiese un giorno un giovane a Gesù. Domanda definitiva, la cui risposta talvolta, tuttavia, non viene accolta: troppo difficile sembra infatti seguirla, se la risposta è la chiamata di Dio. Non necessariamente una chiamata al sacerdozio: può essere una vocazione alla vita religiosa, o ad un laicato impegnato, ma la confusione in cui è immersa oggi la nostra vita rende difficile decidere che sì, ci si può fidare a donare se stessi.
Forse è ancora una questione di fiducia, forse anche di esempi. L’incoerenza, il carrierismo, la voglia di potere di pochi mettono in ombra la linearità, la carità dei tanti che credono solo al potere della fede. E accettare di essere sacerdoti o religiosi, esserlo con coerenza, sembra non essere mai stato più difficile, nonostante sia più forte che mai per i cristiani il bisogno di queste figure.
C’è come uno scarto, che complica la comunicazione, una sensazione di lontananza. Nel popolo cristiano manca spesso, forse, la comprensione dell’umanità dei sacerdoti, dell’impotente stanchezza che anch’essi in questo tempo possono provare; non si pensa che le crisi di fede esistono anche per loro, e probabilmente colpiscono in modo più devastante... Nei sacerdoti manca talvolta, forse, quella tenerezza, con cui Papa Francesco, durante la GMG, ha portato in braccio la statuetta della Madonna di Aparecida, e a cui tante volte invece i cristiani vorrebbero affidare le loro pene; qualche volta sembra mancare l’amore per la povertà, per il dubbio, ma anche per la misericordia, per la fede. Manca forse da ambedue la parti, in alcune circostanze, l’umiltà di mettersi in gioco, il desiderio di ascoltarsi davvero, di procedere insieme, per aiutarsi reciprocamente a interpretare il disegno di Dio sugli uomini. In questo buio, laici e religiosi insieme, chiediamo a Maria, madre di noi tutti, l’aiuto per ritrovare la luce. (L.B.)
don Francesco
Se uno viene a me
08 Settembre 2013
La comunità, con la Festa della Natività di Maria, giunge al vertice della settimana mariana e si appresta a celebrare la seconda settimana di settembre dedicata al mondo giovanile. Per i ragazzi e per i giovani, col pensiero alla scelte fondamentali che devono fare per continuare il cammino di crescita e dare un indirizzo preciso alla vita, abbiamo scelto la parola che Maria alle Nozze di Cana disse ai servitori che avrebbero portato il vino buono:”Fate quello che egli vi dirà”. Ma pure la Liturgia della domenica XXIII ha una parola significativa, quando il Signore, additando l’esempio del costruttore di casa e del re che intraprende una guerra, invita gli interlocutori a fare bene i conti. Si tratta però di conti che presentano dei risvolti paradossali, perché la decisione da prendere non riguarda qualche obiettivo particolare ma la prospettiva di seguire/non seguire Gesù:“Chi vuole essere mio discepolo”. E la condizione previa che è posta riguarda la disposizione a cambiare radicalmente stile di vita:” rinuncia a tutti gli averi”. “Fate quello che vi dirà” presuppone quindi il silenzio dell’ascolto e la passione della ricerca, ma richiede anche l’azione educativa esemplare degli adulti, come suggerisce l’introduzione alla settimana.
“Fate quello che Egli vi dirà” dice Maria ai servitori durante il banchetto di Cana, quando la mancanza di vino rischia di far fallire una festa che fino a quel momento sembrava riuscita.
Fare quello che Gesù dice riempie questa mancanza, e la festa continua, anzi va ancora meglio; però tra le parole di Maria e l’agire dei servi si verifica qualcosa di fondamentale: i servi ascoltano, e soprattutto hanno fiducia, nella persona che parla, nelle parole che sentono.
Ascoltare in genere non è facile, presuppone capacità di fermarsi, di guardare dentro e fuori di sé; chiede soprattutto che chi parla sappia creare fiducia, ma anche che chi ascolta sappia darla. Soltanto dopo si fa, si agisce, e non per protagonismo, ma per convinzione e amore.
I giovani fanno quello che si dice loro se si crea questo circuito virtuoso: se in chi parla loro di fede e di passione vedono che sono proprio la fede e la passione a definire il comportamento, se la fiducia che viene loro richiesta è pari a quella che ricevono e se questo scambio diventa uno scambio di amore, che alimenta l’energia di ogni avventura e della vita. Per ascoltare, credere e quindi agire, chiedono in chi parla coerenza e semplicità; sanno che fare ciò che Gesù dice comporta la difficoltà di aprirsi agli altri e di bandire l’egoismo, ma vogliono essere portati dall’esempio a credere che la risposta a Cristo è la risposta ai loro desideri più profondi di pace, di giustizia, di una felicità non illusoria.
È con amore che il Papa, subito ricambiato infatti, li ha esortati recentemente a mettersi in gioco, se vogliono davvero un mondo diverso, e li ha invitati a fare “casino”, a rompere gli schemi, a scendere nelle strade. Come fa lui, e soprattutto come ha fatto, per amore, Gesù... e San Francesco, seguendo il Suo esempio, pure.
don Francesco
Santa Maria Madre di Dio
31 Agosto 2013
“Voi vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, a migliaia di angeli..”. Ecco le belle parole della lettera agli Ebrei che si leggono nella Liturgia della Domenica XXII. Si riferiscono alla bellezza dell’esistenza cristiana e costituiscono una degna cornice alla “Settimana mariana”, che la Parrocchia si appresta a vivere la prima settimana di settembre. Come introduzione ad essa suggerisco la lettura del testo di presentazione che è stato preparato per il numero speciale del foglio parrocchiale.
Nella “Leggenda Maggiore” si dice che San Francesco “circondava di indicibile amore la Madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il Signore della Maestà e ci ha ottenuto la Misericordia”. D’altra parte, è proprio il Medioevo il periodo della devozione a Maria. Si moltiplicano inni e preghiere mariane, compaiono la “Salve Regina” e l’Ave Maria”; crescono di numero le feste in onore della Madonna, si innalzano nel Suo nome basiliche, chiese, cappelle.
Questa dimensione popolare della devozione mariana, che si articola poi lungo i secoli nel linguaggio e nelle forme del rosario, delle confraternite, dei santuari, dei pellegrinaggi, e che si affida in maniera anche esagerata al sentimento, finisce per mettere in ombra la concezione, già tipica dei Padri dei primi secoli del Cristianesimo, e intuita da S. Francesco, di una Maria inserita pienamente e in modo dinamico nella storia della salvezza, per farne invece una figura isolata, ricolma di privilegi, che brilla di “una gloria separata”, quasi “concorrenziale” a Cristo.
Sarà il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica “Lumen Gentium”, a restituire la figura di Maria come inserita nei misteri di Cristo, serva del Signore attraverso la sua maternità divina e, in questo, modello della Chiesa, ma anche creatura umana al servizio degli uomini, per i quali continua a intercedere presso Dio. Gli uomini hanno sempre riconosciuto questo ruolo della Madonna, e sempre si sono rifugiati sotto la sua protezione nei momenti del bisogno, nel silenzio delle loro case come presso i grandi santuari: ma il Concilio ci ricorda anche che a Maria non va “uno sterile e passeggero sentimento”, “una vana credulità”, piuttosto la venerazione per la sua immagine, e soprattutto “un amore filiale”, che attraverso le molteplici forme di devozione care al cuore degli uomini porti a conoscere, amare e glorificare Suo Figlio, Gesù. (L.B.)
In questo spirito celebriamo la Settimana mariana e ci mettiamo sotto la protezione di Maria.
don Francesco
Entrare per la porta stretta
25 Agosto 2013
Due serie di riflessioni ci propone la liturgia della domenica XXI.
Dapprima è formulata una questione, oggi presa in scarsa considerazione,
ritenuta secondaria se non addirittura superflua, ma nei secoli
fondamentale punto per l'impegno di vita dei cristiani:"sono pochi quelli
che si salvano?". La replica del Cristo si esprime in due affermazioni
lapidarie. Prima egli dice:"sforzatevi di entrare per la porta stretta,
perché molti cercheranno di entrare ma non ci riusciranno". E con questo
conferma che la vita umana ha una meta, un obiettivo che deve essere
perseguito, "il regno di Dio", che non è a facile portata di mano, che
anzi deve essere desiderato e cercato convintamene perché si corre il
rischio di mancarlo. Aggiunge quindi che non è da escludere l'eventualità
di trovare sulla porta stretta un personaggio piuttosto deciso, il quale
a chi sta arrivando potrebbe dire:"Ma tu chi sei? Che cosa pretendi? Io
non ti conosco. Allontanati! Il posto preparato per te non sta qui ma è là
dove c'è pianto e stridore di denti". Il Cristo allora non vorrà più
conoscere coloro dai quali non è stato riconosciuto nella fede, non è
stato ascoltato negli insegnamenti di vita, non è stato servito nelle
opere di giustizia, non è stato amato. La religiosità autentica è infatti
questione di scelte: adesione personale al Figlio di Dio, fede nella vita
eterna.
Torna spontanea alla memoria il grave ammonimento dell'apostolo
Paolo:"attendete alla vostra salvezza con timore e tremore". In esso
possiamo far confluire l'invito, nella seconda lettura, ad accettare la
sofferenza e a mettere in pratica la correzione. Nelle diverse prove
della vita, scrive l'autore sacro, cerchiamo di vedere la mano di Dio che
ci educa, ci indica il cammino da seguire, ci propone una disciplina
severa che irrobustisce. Ai padri e ai figli nello stesso tempo ricorda
una parola forte che apre alla speranza:"Dio vi tratta come figli; e qual
è il figlio che non viene corretto dal padre?".
don Francesco
E' venuto a gettare fuoco sulla terra
18 Agosto 2013
Questi giorni del ferragosto - come ogni anno caratterizzati dal diffuso
desiderio di trascorrere momenti di riposo, di serenità, di pace che
interrompano il ritmo ripetitivo della vita quotidiana, giorni nei quali
i credenti cercano sintonia con il pensiero delle cose del cielo suggerito
dalla festosa celebrazione di Maria Assunta - sono oscurati da fatti di
inaudita violenza. Essa si presenta sotto due aspetti: quello di natura
politica che vediamo in scena su molte piazze di paesi del Mediterraneo,
e quello che si manifesta in alcune case, dove va a toccare i rapporti più
intimi delle persone e giunge fino al delitto.
Mentre troviamo impossibile allontanare dal nostro pensiero questo duplice
drammatico scenario, accogliamo la parola ancora una volta confortante e
stimolante del Signore. Egli dice:"Sono venuto a gettare fuoco sulla terra
e quanto vorrei che fosse già acceso". Egli intende parlare del fuoco
della purificazione, capace trasformare gli spiriti, di renderli puri,
sinceri, trasparenti, veramente umani, eliminando ogni forma di ambiguità
e falsità; ma egli allude anche al fuoco dell'amore, a quel calore che
allarga i cuori, li rende nuovi e li apre ad esperienze che creano nuovi
rapporti. Il Signore poi continua e davvero a sorpresa aggiunge di essere
venuto sulla terra "non a portare pace, ma divisione". Chi ascolta con
attenzione avverte subito che non si tratta di un gioco di parole.
Le parole di Gesù non sono espressioni che preludono a qualche forma
inedita di violenza di contrasto o tensione, ma costituiscono u appello
all'impegno, alla decisione per il Vangelo, che non è neutrale ma spinge
chi l'accoglie a scegliere e a decidere. "Chi non è con me è contro di me;
chi non raccoglie con me dissipa tutto".
E' dunque ancora e sempre tempo per difendere e promuovere la famiglia e
tempo per partecipare alla vita civile, fondando la convivenza- come ha ripetuto il Santo Padre
Francesco - sulla giustizia e sulla verità, sulla promozione di diritti
che sono autenticamente tali e sul rispetto degli stessi. In forma
drammatica, poiché le cose talvolta lo richiedono, l'autore sacro
ribadisce:"dovete fare resistenza fino al sangue".
don Francesco
I Santi sono testimoni di Cristo
10 Agosto 2013
Nella prima metà del mese di agosto, al centro del quale la Chiesa ha posto la celebrazione liturgica della Festa di Maria Vergine Assunta in cielo, ricorre la memoria di alcuni santi eccezionali che qui mi piace segnalare.
Inaugura il mese Alfonso Maria dé Liguori, un santo oggi un po’ in ombra ma che nel suo tempo (sec.XVIII) esercitò un influsso importante come moralista, maestro di spiritualità, amico dei poveri e Vescovo amato da tutto il popolo. Il 4 agosto viene ricordato il santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci, protagonista della vita religiosa in Francia nella prima metà del secolo XIX, uomo di profonda preghiera, di penitenza, confessore di migliaia e migliaia di penitenti con orari continuati e una freschezza inesauribile, predicatore semplice e coinvolgente, uomo volto all’essenziale. San Domenico di Guzman è ricordato l’otto agosto. Contemporaneo di S. Francesco vide con chiarezza l’urgenza di preservare nel popolo cristiano l’autentica dottrina della Chiesa e per questo fondò l’Ordine dei Predicatori, frati che si dedicassero allo studio, alla teologia e quindi alla predicazione. Anche il suo tempo e la sua azione ebbero momenti dolorosi e drammatici come testimoniano i fatti della guerra contro gli eretici detti albigesi o catari. L’undici agosto ricorre poi la memoria di Santa Chiara d’Assisi. Donna straordinaria abbracciò per intero la vocazione di Francesco e consacrò totalmente la sua vita nella povertà, nella preghiera, nel servizio.
Santa Teresa Benedetta, Edith Stein, donna ebrea, è ricordata il nove agosto. Ha conosciuto il Cristo a trent’anni e a lui ha dato testimonianza con il dono della vita, a 51 anni, martire della fede e del legame con la chiesa e con il suo popolo, ad Auschwitz. Donna di studio e filosofa, il Papa Giovanni Paolo II giustamente l’ha proclamata patrona d’Europa.
Accanto a lei ricordiamo, il 14 agosto, un uomo dal dinamismo eccezionale, il francescano polacco San Massimiliano Kolbe, anche lui vittima del lager di Auschwitz. Fu reso celebre per il gesto con il quale sceglieva, dopo una esistenza segnata da una attività prodigiosa, di morire al posto di un altro prigioniero. Infine è bello ricordare San Lorenzo (10 agosto), collaboratore fedele del Papa negli anni 250 dopo Cristo, saggio amministratore del beni della Chiesa, amico dei poveri, capace di affrontare con serenità un martirio particolarmente crudele. Questo elenco di santi davvero suggestivo ci trasmette fiducia ed entusiasmo di vita cristiana. E’ scritto nella lettera agli Ebrei(12,1):”Circondati da così grande moltitudine di testimoni corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”.
don Francesco
La vita dell'uomo non dipende da ciò che possiede
03 Agosto 2013
Nel lungo tunnel della crisi economica, dalla quale tutti siamo toccati
mentre, nonostante il proliferare di analisti professori e premi Nobel di
ogni settore dell'economia, nessuno è in grado di dire quando e come ne
usciremo, accogliamo le parole che la liturgia della Domenica XVIII ci
rivolge sul tema del possedere e dell'accumulare, della proprietà.
Prima mettiamo in luce i richiami che ci vengono mandati e poi ascoltiamo
il messaggio.
Non illudiamoci troppo, anzi teniamo sempre in considerazione che la vita
è breve e può interrompersi da un momento all'altro. ".E quello che
possiedi di chi sarà?. forse di chi per nulla ha faticato?". Non vale la
pena quindi faticare per costruire seminare accumulare se poi ne avranno
vantaggio gli altri.
Facciamo poi attenzione a non correre il rischio di privare di senso le
cose, il lavoro e la vita stessa. "Vanità delle vanità, tutto è vanità":
non perché la creazione di Dio è priva di finalità ma perché l'uomo non si
sforza di riconoscerla e non la persegue.
Troppo spesso infine avviene che quanto ha ragione solo di mezzo va a
prendere il posto del fine. "Fate morire quella cupidigia che è
idolatria": è il grave monito della lettera di S. Paolo che è eco della
parola del Signore:"non potete servire a due padroni". Denaro e proprietà
possono renderci schiavi. Invece che aiuto possono recare danno, quando
stravolgono l'ordine naturale.
Possiamo trovare una indicazione positiva in merito alla questione,
lasciandoci interrogare da due parole. Quella di S. Paolo il quale ci
invita a "cercare e a pensare le cose di lassù dove è Cristo", cioè a
impostare la nostra vita di Cristiani su quei valori per i quali Gesù,
dopo averli insegnati e praticati, ha dato la vita. La parola del Signore
stesso a conclusione ci dice:"arricchitevi davanti a Dio".
Diamo perciò alla vita un respiro più grande e lavoriamo per le cose che
durano.
don Francesco
Insegnaci a pregare
28 Luglio 2013
Ci sono nelle Sacre Scritture degli insegnamenti dei quali bisogna
semplicemente prendere atto, al di là dei nostri convincimenti personali e
delle opinioni del tempo e del luogo dove viviamo. C'è chi ha scritto, e
molti hanno dato risalto all'affermazione, che "il cielo e vuoto"; il
Signore Gesù invece ci ha invitato a guardare in alto e a rivolgerci a
Colui che abita nei cieli chiamandolo per nome:"Padre nostro". C'è
qualcuno che dice che siamo soli, con le nostre pene, i nostri drammi, le
nostre sofferenze, nessuno conosce il nostro dolore, il nostro grido si
perde nel vuoto; il Signore Gesù invece ci ha indicato la via
dell'orazione fiduciosa:" Chiunque chiede riceve, chi cerca trova, a chi
bussa sarà aperto". Non mancano persone che con facile superficialità si
mostrano indifferenti, non credono all'importanza delle scelte, al valore
di quanto pensiamo diciamo e realizziamo; il Signore Gesù ci svela il
segreto di cose buone che riceviamo e possiamo donare:" se anche voi
sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre del cielo vi
darà lo Spirito Santo". Alcuni con la parola e con gli scritti e forse
molti con la condotta pratica negano la verità della vita eterna come meta
preparata da Dio per noi; il Signore Gesù facendoci ripetere "venga il tuo
regno" ci sollecita a sperare, a desiderare e cercare le realtà invisibili
non meno concrete di quelle visibili e ci assicura che il Padre dona
"lo Spirito Santo" quale forza di amare con un amore che sfida il tempo.
Non sappiamo infine quanti giusti ci siano sulla terra e purtroppo
sappiamo che ci sono opinionisti e maestri che negano la differenza tra
bene e male; il Signore Dio invece fa presente che i giusti sono garanzia
di sicurezza per la vita della città:"Non distruggerò le due città per
riguardo ai dieci giusti".
Questi pensieri ed altri ancora ci suggeriscono le letture della XVV
domenica.
don Francesco
Non dimenticate l'ospitalità
19 Luglio 2013
Oggi quando si parla di ospitalità non si intende più l'atto di aprire la
porta di casa ad una persona che bussa e chiede di entrare. L'ospitalità
è diventata materia di dibattito e di controversia politica con
riferimento ai profughi, agli immigrati, a tanti uomini e donne che
lasciano liberamente o coattivamente il proprio paese alla ricerca di un
altro luogo dove vivere. Tutti convengono nell'affermare che è in atto
uno spostamento di persone da Sud verso Nord (una definizione sociologica
e non necessariamente geografica) quale mai nella storia si è verificato.
Ognuno di noi lo constata ogni giorno, senza andare lontano ma
semplicemente uscendo di casa e camminando per la strada. Incontra mille
volti diversi ma ben decifrabili di africani, di sudamericani, di
asiatici, di est europei, di nordafricani, cingalesi, pakistani, cinesi
ecc.. ed ascolta nuovi linguaggi così diversi, le loro lingue, le voci
alterate dei loro cellulari che vanno a confondersi con le tonalità e le
declinazioni della lingua italiana e del nostro dialetto.
Non ha quasi più luogo la forma più tradizionale di ospitalità, quella di
invitare il forestiero ad entrare in casa, a sedersi alla propria tavola
ed anche a fermarsi. Di solito siamo cortesi ma non apriamo le porte.
Perfino per stare un po' insieme con l'amico, per mangiare un boccone in
compagnia piuttosto che la casa scegliamo il ristorante o la pizzeria.
E' a queste situazioni che accenna la liturgia della domenica XVI e lo fa
affidandoci due messaggi importanti. Il primo, piuttosto misterioso,
rivela che tenendo aperta la porta è perfino possibile che arrivi un
ospite dal cielo. "Non dimenticate l'ospitalità - è scritto; alcuni
praticandola senza saperlo hanno accolto degli Angeli". E infatti la prima
lettura e il Vangelo parlano dell'ospitalità data da Abramo a Dio stesso,
e di quella data dalle sorelle Marta e Maria a Gesù Cristo, il Figlio di
Dio. "Chi sa che non lasci una benedizione", è la logica conseguenza di
questo universo misterioso della visita divina. Il secondo messaggio non
meno importante suggerisce il corretto atteggiamento da tenere verso
l'ospite. Viene spontaneo darsi da fare per procurargli qualcosa di buono
e di piacevole, un po' anche per fare bella figura, ma non è questa la
cosa più importante. La scelta migliore da fare è quella di ascoltarlo, di
rendergli onore prestando attenzione a quello che dice.
Se si tratta del Cristo che parla allora bisogna capire la sua parola,
farne tesoro e metterla in pratica. Se l'ospite è una persona con la quale
abbiamo consuetudine di vita, ascoltarlo è sempre segno di rispetto, di
considerazione e di stima.
don Francesco
Si prese cura di lui
13 Luglio 2013
"Si prese cura di lui" sono le parole chiave della parabola del Buon
Samaritano, che la liturgia della Domenica XV ci propone. Gesù racconta
che - diversamente da un sacerdote, il quale "sul ciglio della strada vide
un uomo mezzo morto e passò oltre"; e diversamente da un levita, pure lui
personaggio appartenente al mondo religioso ebraico, il quale "passando a
sua volta in quel luogo vide e tirò diritto" - il Samaritano si fermò e
"si fece vicino".
Appare qui un primo segnale indicativo per il comportamento del credente e
di ciascuno, uomo o donna che sia. "Chi è il mio prossimo?", chiedeva il
dottore della legge. La risposta data da Gesù arrivava in modo
sorprendente. Prossimo non è la persona che versa nel bisogno ma è l'uomo,
la donna che vede e lva incontro al sofferente. Questo equivale a dire che
dobbiamo camminare tra la gente con occhi che sanno vedere, con cuore
sensibile, con animo disposto a farsi carico.
II messaggio, certamente facile da capire, è però enormemente impegnativo.
La cornice rappresentata dalle altre due letture aggiunge sostanza e non
solo sfumature all'insegnamento del Signore. Quello che è da fare - ha
scritto Mosè - è piuttosto evidente. Non ci chiede né di salire in alto
sulle vette dei monti, né di percorrere i deserti o i mari. E' a portata
di mano. Tute queste indicazioni ci vogliono dunque dire in primo luogo
che siamo chiamati ad amare in modo autentico le persone più vicine: lo
sposo, la sposa, la madre, il padre, il figlio, la figlia, il maestro,
l'alunno, le persone che ci amano e dalle quali abbiamo ricevuto del bene.
Non si può mai affermare quello che oggi si sente di frequente: non sento
più niente, non l'amo più, non merita di essere amato/a.
La lettera ai Colossesi, nella quale San Paolo si presenta così impegnato
ad illustrare la grandezza e la santità di Cristo, mette in luce infine
che tutta la realtà vive in Gesù, per Gesù, e in Gesù. E' lui la sorgente
di ogni energia spirituale. Alla sua grazia e alla forza del suo amore
dobbiamo attingere.
don Francesco
Il vangelo è annunciato
08 Luglio 2013
La prima impressione che si prova nella lettura dei brani biblici proposti
dalla Liturgia nella Domenica XIV è di sorpresa. Non appare evidente
infatti la ragione per la quale si accostano pagine così diverse quali
sono il capitolo decimo del Vangelo secondo Luca che riferisce dell'invio
dei 72 discepoli, la descrizione di una situazione comunitaria
caratterizzata da grande prosperità che descrivono alcuni versetti del
capitolo 66° del profeta Isaia e il celebre passo dove S. Paolo, nella
lettera ai Galati, afferma con forza: "quanto a me non ci sia altro vanto
che nella croce dl Signore nostro Gesù Cristo".
Forse il filo conduttore, un po' nascosto, è rappresentato dal senso
misterioso della presenza e dell'azione di Dio nella storia e nella vita
degli uomini, per i quali si rivela guida invisibile ma sicura e
provvidente. L'opera di Gesù è stata il fatto unico determinante che ha
tracciato nel mondo il solco della speranza. A partire da lui siamo ormai
certi che il Signore ci porta nel cuore e prepara la nostra salvezza, dal
momento che "in lui possiamo diventare nuova creatura". La parola di Isaia
è invece profezia che assicura che verrà il tempo nel quale Gerusalemme -
cioè la città, la comunità degli uomini - godrà dell'abbondanza di ogni
bene e la pienezza della gioia. E' evidente qui il significato
escatologico, l'epilogo glorioso del dono divino che significa salvezza.
Nel mezzo, cioè nella storicità del presente, si colloca l'annuncio del
Vangelo. Gesù oggi ancora manda i messaggeri di pace; il loro numero può
essere insufficiente e postula la preghiera; la loro disponibilità deve
rivelarsi pronta a rinunciare ad ogni cosa superflua; le opposizioni alla
missione possono essere gravi, poiché si tratta di "agnelli mandati in
mezzo ai lupi". Ma la gioia sarà grande perché vedranno nello stesso tempo
il trionfo del bene: "i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome " e il
compiersi della più profonda aspirazione: "rallegratevi perché i vostri
nomi sono scritti nei cieli".
don Francesco
Decisione e dedizione
30 Giugno 2013
I commentatori del Vangelo sono unanimi nel far notare che là dove nella
traduzione corrente leggiamo che "Gesù prese la ferma decisione di
mettersi in cammino verso la Gerusalemme", la città dove sarebbe andato
incontro alla morte, sta scritto invece nel testo originale (Lc.9,51) che
"egli fece la faccia dura". In piena consapevolezza il Signore prendeva
una decisione difficile e definitiva. Senza esitazione si accingeva ad
affrontare gli eventi che avrebbero dato compimento alla missione che il
Padre gli aveva affidato.
La medesima determinazione, della quale avevano dato prova anche Eliseo ed
altri profeti, Gesù la chiede ai discepoli che egli chiama. Coloro che
scelgono liberamente di seguirlo devono accettare le condizioni della
sequela. Ed infatti ad uno che promette di seguirlo dovunque vada, Gesù
ricorda che deve rendersi conto che non avrà più una casa, perché "il
figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". Ad un altro che sente molto
forti i legami con la famiglia, comanda di lasciarla senza rimpianti e di
partire senza indugio:"Tu và e annuncia il regno di Dio". Ad un terzo
infine che è tentato di soppesare i vantaggi e gli inconvenienti che la
scelta comporta fa un richiamo severo:"Chi mette mano all'aratro e poi si
volge indietro, non è adatto per il regno di Dio".
E' in questione il senso della vita e l'obiettivo di donarla per una
grande causa. "Cristo ci ha chiamati a quella libertà - aggiunge
l'apostolo Paolo - che non può costituire pretesto per vivere secondo la
carne", cioè secondo ideali meramente individualistici. La libertà, la
vita intera, è per il servizio e per l'amore. "Siate a servizio gli uni
degli altri; amerai il tuo prossimo come te stesso".
don Francesco
Un filo lega messaggi diversi
08 Giugno 2013
La comunità gardonese si è fermata la sera di venerdì 7 giugno per fare
memoria. Nel ventesimo della sua scomparsa ha voluto ricordare Giuseppe
Beretta, "imprenditore di umanesimo e di modernità", come giustamente è
stato sottolineato. Lo ha fatto in una serata indimenticabile di musica
verdiana, eseguita nella Parrocchiale di S. Marco, dove le solenni note
del Requiem con la loro forza evocativa hanno richiamato ad un tempo la
grandezza del destino e la serietà del vivere umano.
Secondo un registro completamente diverso di percezioni e di sentimenti la
nostra stessa comunità sta vivendo i giorni della Festa della Cirenaica,
da alcuni anni diventata appuntamento fisso del calendario di inizio
giugno, caratterizzata da iniziative all'insegna dello sport, del
divertimento, dell'amicizia , della solidarietà e dall'incontro. Vi
possiamo leggere anche una reazione positiva, un invito ad operare in
serenità e fiducia, nonostante la fase piuttosto difficile che attraversa
tutta la società.
A sua volta la liturgia domenicale - che ha concluso per intero, con la
Celebrazione del Corpus Domini e del Redentore, il ciclo delle grandi
solennità - si riallaccia al ciclo "chiamato ordinario", ma con l'intento
di non perdere nulla in intensità. Tre infatti sono i temi portanti della
domenica decima. Il primo riguarda l'atteggiamento di scelta, di decisione
e di dedizione nei confronti di Cristo. Lo stile assunto dal giovane
Saulo, diventato Paolo, è esemplare. Il secondo tema è quello della vita,
che si presenta incerta nella sua durata ma che è certissima nella
possibilità del suo compimento in Cristo, sia nel presente che
nell'eterno. Il terzo tema si riferisce alla famiglia in tutte le sue
esperienze: la madre, il figlio, le prove della vedovanza, la morte
precoce. L'apparire di Gesù fa rinascere la speranza. Questa affermazione
va oltre la scena descritta nel testo sacro e ci riguarda direttamente:"Il
Signore, vedendo la donna fu preso da grande compassione e le disse: Non
piangere".
don Francesco
Ritorniamo a Dio
02 Giugno 2013
La grande celebrazione del Corpus Domini - festa memoriale della
istituzione del Sacramento della Eucarestia e testimonianza orante e
riconoscente da parte della Chiesa a Gesù Cristo, fattosi perennemente
presente non solo ai credenti ma a tutta la storia umana e al mondo -
nella parrocchia di S. Marco da alcune decenni viene a coincidere con la
Solennità del Redentore, che tradizionalmente era celebrata la terza
domenica di luglio, il giorno stesso nel quale ancora oggi viene
celebrata la ricorrenza liturgica veneziana.
Due pensieri guideranno i diversi momenti delle assemblee di preghiera
della Parrocchia. Il primo è dato dalla figura e dai gesti della
misteriosa e straordinaria figura biblica di Melchidedek, re e sacerdote.
Ad Abramo e ai suoi soldati, reduci da una altrettanto misteriosa
battaglia, egli diede pane e vino, il cibo e la bevanda in quel momento
indispensabili, unendo al dono parole di lode al "Dio Altissimo" e di
benedizione per Abramo e i suoi. In quei gesti - dal triplice significato
di dono, di lode e di invocazione- troviamo suggeriti i modi sempre
attuali di accogliere e vivere il grande Sacramento dell'Eucarestia,
quello che la Chiesa chiama "Mistero della fede".
Il secondo pensiero è suggerito dai temi delle "Opere di misericordia
corporale", che l'irrompere sulla scena di Papa Francesco ha richiamato
con urgenza e che pertanto una celebrazione aperta come quella del
Redentore non poteva ignorare: la fame, la sete, la casa, il vestito,
l'ospitalità, la malattia, il carcere. Varie scene lungo il percorso della
Processione eucaristica richiameranno perciò la faccia dolente del mondo,
non per fare retorica ma per lanciare degli appelli. Ci sono tanti uomini
e donne che aspettano la consolazione della comprensione e invocano la
risposta attiva in opere di giustizia e di carità. Gesù chiede di essere
riconosciuto là dove i fratelli soffrono. Non invano ha detto:"Ogni volta
che l'avete fatto ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto
a me"!
don Francesco
Ritorniamo a Dio
22 Maggio 2013
Mi colpisce la sapiente regia della Liturgia Cattolica, la quale, concluse
con la Pasqua e la Pentecoste le celebrazioni dei grandi eventi sempre
attuali della salvezza, ci propone in due Feste, a suo tempo inventate
quasi a sorpresa, e nelle due settimane che le seguono, un breve tempo di
sosta da trascorrere in meditazione e contemplazione. Sempre che ne siamo
capaci, noi cristiani moderni che viviamo in ambienti e luoghi tanto
disturbati da interferenze e da rumori di ogni tipo. La Chiesa dunque in
questi giorni ci invita a fare sintesi e a contemplare.
Dapprima viene la Festa della Santissima Trinità, che racchiude in
sintesi il nome cristiano di Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
"Dio nessuno l'ha mai visto, ma il Figlio Unigenito che è nel seno del
Padre ce l'ha fatto conoscere". La Chiesa rinuncia a spiegarci per filo e
per segno il mistero, però ce lo vuole enunciare con forza e ci ricorda
che da esso siamo amati e avvolti. Dio è sempre più grande eppure si è
fatto piccolo; Dio è assolutamente Altro eppure in lui viviamo ci muoviamo
e restiamo; Dio è irraggiungibile eppure si è fatto vicino, è
l'Emmanuele, il Dio con noi. La Festa della Trinità ci viene perciò a
richiamare un atteggiamento di fondo. Ogni volta che pensiamo o diciamo
"Dio" dobbiamo fermarci con rispetto, con timore, con amore. E' Santo
infatti il nome di Dio, da pronunciarsi sempre con fede, rispetto
gratitudine e lode. Significativamente la breve lettura, tratta dalla
lettera ai Romani, accennando al misterioso legame con il quale la
creatura umana è chiamata a unirsi al Padre al Figlio e allo Spirito
Santo parla delle virtù teologali: la fede che esprime la piena fiducia,
la speranza che guarda oltre il tempo e fa correre verso la meta, la
carità che entra in rapporto di ringraziamento con il Creatore e Signore e
di responsabilità verso il creato. Lodiamo dunque il Signore. Sia gloria
al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Ricorrerà quindi la domenica prossima la Festa del Corpus Domini. Lo
sguardo allora si volgerà a Gesù e alla sua opera, il cuore gioirà alla
considerazione del dono della perenne presenza di Cristo in tutto il tempo
dell'uomo.
don Francesco
Cristo la Chiesa l'Umanità
04 Maggio 2013
Un triplice legame, tanto spesso evocato nelle Sacre Scritture, viene
proposto dalla Liturgia della domenica sesta di Pasqua. Innanzitutto il
legame, nel segno dell'amore, del credente con il Cristo, con il Padre e
con lo Spirito Santo espresso con l'immagine di un Dio che prende casa
nell'anima del credente. "Se uno mi ama, il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Difficilmente potremmo
trovare una espressione così semplice e chiara per indicare il legame
della creatura con il suo Creatore e Signore. L'esito di questa esperienza
è il raggiungimento della pace, un senso vivo di quiete interiore, di
serenità del cuore, che accompagna anche nei momenti difficili della vita,
che per grazia non mai viene meno. "Non come la dà il mondo, dono io a
voi la pace", dice il Signore.
Il secondo legame è quello dei fedeli con la Chiesa. Alla fine del libro
dell'Apocalisse, dal quale è tratta la seconda lettura, viene abbozzata la
descrizione della realtà escatologica, di quella città futura e ideale, di
cui la Chiesa deve costituire anticipo e parziale realizzazione, della
quale dovrebbero trovarsi segni di attuazione anche nella città degli
uomini. Non possiamo scordare gli elementi caratteristici di questa città
che viene dal cielo: fondamento ne sono gli apostoli; le porte, che
guardano nelle quattro direzioni e sono sempre aperte, portano scritti i
nomi delle dodici tribù di Israele; della custodia sono incaricati gli
Angeli; la notte non esiste più perché la luce è assicurata dalla continua
presenza di Dio. "La gloria di Dio illumina la città".
La città che ha le porte sempre aperte aspetta l'arrivo di nuovi cittadini
e pertanto fa diffondere a tutti un invito affinché vengano. E' questo il
terzo legame, quello dell'intera umanità, unica famiglia, unico popolo di
Dio non ancora divenuto cosciente di questa vocazione e della sua dignità,
popolo amato e benedetto, perché "in te saranno benedetti tutti i popoli
della terra". La prima lettura ci presenta un momento particolare
dell'azione missionaria della Chiesa primitiva di Gerusalemme e della
Siria. I cristiani, apostoli e laici, mentre cercavano quali vie seguire
per annunciare il vangelo al maggior numero possibile di persone, erano
preoccupati di camminare uniti. E' questo un segno esemplare per il
cammino di ogni parrocchia.
don Francesco
Vidi un cielo nuovo e una terra nuova
29 Aprile 2013
Abbiamo vissuto in contemporanea due momenti molto intensi, dei quali l’uno concernente la vita civile, l’elezione del Presidente della Repubblica Italiana, e l’altro concernente la vita della comunità parrocchiale, la celebrazione dei Sacramenti della Confermazione e della Prima Comunione, che hanno riguardato 50 ragazzi giunti al 5° anno dell’ormai nota e dibattuta “Nuova iniziazione cristiana”. Ringraziamo il Signore per questi appuntamenti e per tutti i suoi doni. Con animo grato diciamo grazie anche ai collaboratori dell’Oratorio e della Parrocchia.
Il Calendario liturgico dell’ultima domenica di aprile ci fa incontrare con un messaggio chiave del libro dell’Apocalisse, che ripropone una parola che leggiamo anche nel libro del profeta Isaia:”Vidi un cielo nuovo e una terra nuova”. Un misterioso intervento di Dio dà conferma alla visione:”Ecco io faccio nuove tutte le cose”.
Parlare di un rinnovamento che riguardi tutti gli aspetti risulta nello stesso momento scontato e indispensabile. Scontato per il fatto che è aspirazione universale e quindi tutti lo auspicano e lo pretendono, indispensabile perché dove non si rinnova sopravvengono decadimento e fine.
Devono tuttavia essere prese in seria considerazione le condizioni del rinnovamento che vengono evidenziate dalle altre letture della Domenica V di Pasqua. Il Vangelo propone il grande comandamento dell’amore:”Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. E’ l’amore vero la forza che attua la novità nella vita quotidiana, nella famiglia e in ogni azione che venga compiuta, perché solo da esso sgorgano opere di giustizia, atti efficaci di riconoscimento e di rispetto della dignità dei fratelli. La lettura del libro degli Atti ci offre poi l’occasione di gettare lo sguardo sul ritmo impressionante e senza sosta del lavoro apostolico di San Paolo. Tutto questo porta a concludere che la novità da tutti attesa, dono dello Spirito Santo, può venire soltanto dall’amore, quando è realizzato in uno stile di agire generoso e gratuito a favore fratelli.
don Francesco
Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini
14 Aprile 2013
La Parrocchia nella prima parte del mese di aprile ha proceduto
nell'attuazione del programma in calendario per il 500° della Basilica,
dedicando una prima serata a S. Francesco, nella quale i Canti della
Corale "Gennanates" di Zanano sono stati intervallati dalla lettura di
significativi testi poetici francescani e quindi dedicando una seconda
serata alla contemplazione, in otto momenti, del Mistero di Cristo
Risorto, dove alla lettura biblica e ai commenti sono seguiti i canti
proposti dal "Coro delle Canterine", il gruppo delle bambine da poco
costituito ma già in grado di proporre alla comunità qualcosa di bello.
Ora il programma continuerà con l'attuazione di visite collettive guidate,
intese ad aiutare la riscoperta dei tesori di arte e di fede custoditi
nella Basilica stessa.
Siamo nel frattempo giunti alla domenica terza di Pasqua, nella quale la
liturgia propone ai fedeli due punti essenziali di meditazione. C'è
dapprima il tema dell'obbedienza, una parola che non è di moda ma che fa
parte del messaggio biblico. In sintesi potremmo affermare che l'ideale
sarebbe la coincidenza perfetta tra il volere di Dio e le decisioni o
scelte degli uomini, ma così ordinariamente non avviene, sia perché capire
la volontà di Dio richiede un percorso di ricerca, sia perché talvolta può
far comodo ignorare il comandamento divino, sia perché è faticoso assumere
comportamenti che vanno contro corrente. La replica di S. Pietro e degli
Apostoli al comando delle autorità di Gerusalemme è stata ferma ed ha
assunto il valore di un principio di vita di carattere universale:
"Bisogna obbedire a Dio e non agli uomini". Viene suggerito quindi il tema
dell'amore, un tema così ricorrente che può apparire addirittura scontato.
Ma non dovrebbe essere e non è così. Anche in questo caso si tratta di un
passaggio esemplare. Si può davvero amare Dio? Sarà mai possibile ad un
uomo e ad una donna che vivono le dinamiche della vita terrena intessere
un rapporto diretto e vero di vita con il Cristo, invisibile ormai e
salito al cielo? Il Vangelo lo afferma e quello che Gesù allora chiese a
S. Pietro - in primo luogo a lui per le ragioni che conosciamo - lo chiede
a tutti:"Simone di Giovanni, mi ami?". A ciascuno di noi è rivolto
l'invito a prendere in considerazione questa richiesta e a rispondere con
urgenza e in tutta sincerità.
don Francesco
Vivere i giorni della Settimana Santa
24 Marzo 2013
Abbiamo vissuto e stiamo vivendo giorni molto intensi. Giorni di grande gioia con tutta la Chiesa, perché dopo la rinuncia di Papa Benedetto XVI, al quale va tutta la nostra riconoscenza, i Cardinali hanno eletto Papa Francesco, il quale con le spontanee parole e i brevi discorsi che ci ha rivolto, nei semplici gesti che ha compiuto e con lo stesso nome che ha scelto, ha stupito tutti e in molti di noi ha confermato il desiderio di accompagnarlo non soltanto con la simpatia e la preghiera, ma pure con una piena convinzione di fede e un rinnovato impegno di vita. Ma viviamo anche giorni di grande apprensione per la situazione sociale e politica che si è determinata dopo in risultati delle elezioni politiche. E’ già trascorso un mese ed ancora non si è fatto un solo passo avanti. Molti chiacchierano - giornalisti politici e semplici cittadini - ma avviene che i responsabili non sanno o non vogliono discernere quella forma di collaborazione che è diventata indispensabile. Per affrontare problemi, che si fanno sempre più preoccupanti, che riguardano il paese Italia, che quindi interessano direttamente tante persone e famiglie che sono in sofferenza c’è davvero bisogno di un di più di saggezza, di buona volontà e di serietà. Ognuno deve fare la sua parte.
In questa situazione ambivalente di contrapposti sentimenti, la comunità cristiana si accinge a rivivere i giorni santi della Passione Morte e Risurrezione del Signore. Ci sentiremo uniti, ispirati da una fede forte e sincera, guarderemo a Cristo Signore, l’autore della nostra salvezza. La strada da lui tracciata è già evidente nella preghiera che recitiamo, ma dobbiamo passare dalle cose pensate e ripetute alla realtà della vita concreta: “soltanto se attraverseremo con lui l’esperienza della passione e della croce, giungeremo alla gloria della risurrezione”. La pretesa di ottenere nella vita ottimi risultati a prezzo scontato è una illusione. La Risurrezione è meta reale e raggiungibile, ma non è a portata di mano. “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
don Francesco
Unanimi nella preghiera
03 Marzo 2013
Ieri abbiamo sentito e oggi leggiamo sui giornali le ultime parole del
commiato del Papa Benedetto XVI. Ai Cardinali ha detto:"La chiesa
costituisce per tutti noi la ragione e la passione della vita.al futuro
Papa prometto la mia incondizionata reverenza e obbedienza"; con le
persone raccolte nella Piazza di Castel Gandolfo ha concluso:"Mi sento
semplicemente un pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo
pellegrinaggio in questa terra. andiamo avanti insieme con il Signore per
il bene della Chiesa e del mondo". A queste semplici meravigliose
espressioni le parole della Liturgia della Domenica terza di Quaresima
possono essere accostate perché richiamano il senso di tutta una vita al
servizio del Vangelo. Nella rivelazione fatta a Mosè sul Monte Sinai è
racchiuso il grande mistero di Dio, "fuoco che arde e non consuma", che la
Chiesa è chiamata ad annunciare agli uomini; nell'immagine della roccia,
alla quale il popolo si nutriva e si dissetava, vediamo con San Paolo la
presenza viva del Cristo - "Io sono con voi, non abbiate paura"- il quale
con la grazia del vangelo e dei sacramenti accompagna e guida la Chiesa
nel suo cammino nel tempo; nella pianta alla quale i coltivatori dedicano
tante attenzioni vediamo infine tutti i doni di umanità giustizia e
verità che i cristiani sono chiamati a portare in tutti i luoghi, poiché
la terra intera è il campo di Dio.
A questi pensieri si aggiunge la preghiera che la comunità parrocchiale,
nei giorni che preparano l'elezione del nuovo Papa, innalza al Signore per
il bene della stessa Chiesa e di tutta l'umanità.
don Francesco
Tempo di scelte
24 Febbraio 2013
Questi sono giorni di scelte importanti. Il Santo Padre Benedetto XVI ha
fatto la sua scelta ed ormai i signori Cardinali si stanno apprestando per
la scelta del successore. Si tratta di una decisione che seguirà la
procedura di molteplici valutazioni, ma che porterà soprattutto il segno
dell'ispirazione, della grazia e dell' illuminazione dello Spirito Santo.
La Chiesa infatti è "il popolo che deriva la sua unità dall'unità del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
In Italia in questi stessi giorni hanno luogo le elezioni al Parlamento
e, per quanto ci riguarda, anche per il governo della regione Lombardia.
I cittadini in buona coscienza si sono fatti consapevoli delle principali
questioni che sono sul tappeto e hanno cercato di guardare i volti dei
candidati e di ponderarne le proposte. Che cosa sta dietro la facciata e
fino a che punto è possibile accordare la fiducia a persone e a sigle?
Ancora una volta resteremo delusi? Facciamo del nostro meglio e anche a
questo riguardo non dimentichiamo l'invocazione dell'aiuto divino per i
singoli chiamati a scegliere e per tutta la comunità.
La divina parola, che è "lampada sul nostro cammino", nella liturgia della
seconda domenica di Quaresima non manca di richiamare la nostra attenzione
sulle scelte fondamentali. Dio per sovrabbondanza di amore ha scelto di
allearsi con Israele e attraverso quel popolo di aprire la via della
salvezza a tutta l'umanità; Dio ha pure scelto di mandare nel mondo il suo
Figlio per mostrarci il suo esempio di vita, per farci ascoltare la sua
parola e indicarci la via da seguire. A nostra volta non possiamo tirarci
indietro, al contrario dobbiamo decidere le nostre scelte. In positivo
siamo chiamati ad ascoltare il Cristo, che è l'unico ad avere parole di
vita ("è il Figlio prediletto: ascoltatelo!") ; in negativo è necessario
evitare tutte le condotte di vita che portano alla distruzione e alla
corruzione ("si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi!").
Ricorrendo ad una antica espressione possiamo dire che quei cittadini di
due città che sono i cristiani ogni giorno devono ricordarsi che "la loro
vera patria è nei cieli".
don Francesco
A Benedetto XVI con animo commossoe
16 Febbraio 2013
Condivido pienamente le parole di tante persone sagge, le quali - a
commento della rinuncia al Pontificato fatta da Papa Benedetto XVI - hanno
messo in risalto il coraggio e l'umiltà. Compiendo un gesto inatteso e
rivoluzionario, che può essere interpretato come fuga ma che al contrario
manifesta consapevolezza e determinazione, è andato contro corrente e ha
impresso una spinta efficace al nuovo cammino della Chiesa; ammettendo
davanti alla pubblica opinione di non avere più le energie indispensabili
per l'esercizio dell'alto ministero che gli è stato affidato ha
riconosciuto i propri limiti e nello stesso ha mostrato di non ritenersi
indispensabile. Nei suoi gesti semplici - anche questo va notato con
attenzione - ha poi lasciato trasparire il vivo senso di fede e l'assoluta
fiducia nella grazia del Signore Gesù, il vero pastorale della Chiesa,
l'unico artefice della salvezza dell'uomo. Senza escludere sentimenti di
trepidazione e di viva commozione ci sentiamo stimolati a vivere, in un
clima di particolare preghiera, questi giorni che stanno che concludono
e rilanciano un tempo della Chiesa.
Mentre ci accingiamo a celebrare la prima domenica di Quaresima, che nel
Vangelo delle tentazioni ci raccomanderà atteggiamenti di vigilanza, di
coerenza e di fedeltà, mi piace sottolineare il messaggio dell'apostolo S.
Paolo nella seconda lettura. Sentiremo queste parole:"Se con la tua bocca
proclamerai che Gesù è il Signore e con il tuo cuore crederai che Dio lo
ha risuscitato dai morti, sarai salvo". La missione della Chiesa che
Benedetto XVI ha stupendamente realizzato è proprio consistita
nell'orientare e sostenere tante persone nel loro cammino di
avvicinamento a Gesù, nella ricerca e nell'adesione di fede in lui. E' il
punto, posto al centro della storia, nel quale si compongono il bene di
tutti gli uomini nella vita terrena e l'eterna salvezza delle singole
anime.
don Francesco
Ecco, manda me
10 Febbraio 2013
I tre incontri sociali tenuti nei mercoledì di gennaio hanno riguardato
temi di attualità sociale, che sono importanti anche in riferimento al
dibattito preelettorale di queste settimane, ma soprattutto vogliono
evidenziare che l'autentica dimensione della fede cristiana, che è un
fatto eminentemente personale ed ecclesiale, deve misurarsi con la
concretezza delle cose e della vita. Infatti i cristiani si sentono a
pieno titolo attori dentro il cambiamento culturale, perché in esso
continui a fruttificare l'humus evangelico. Nello stesso tempo devono fare
tutto il possibile in questa fase di mancanza di lavoro e di
stravolgimento del mondo economico per aiutare la società a superare una
crisi epocale. Devono inoltre dedicare attenzione e operosità costruttiva
per affrontare in termini positivi il vasto fenomeno della immigrazione.
Un gravissimo rischio è dunque rappresentato dalla fuga dei cristiani
dall'impegno sociale; si tratterebbe di qualcosa di più grave che un
semplice peccato di omissione. Ma ancora più grave, perché ci porterebbe
nel caos del disorientamento, sarebbe la noncuranza religiosa, il rifiuto
della parola di Dio viva ed efficace; non nutrirsi e non dissetarsi alle
sorgenti, ai luoghi della fede.
E' il messaggio che ci affidano le parole che si leggono nella domenica
quinta, raccontandoci la profonda esperienza religiosa di Isaia - che
incontra Dio e si sente da lui chiamato e mandato - e degli apostoli- che
sono spettatori con i loro occhi della potenza di Cristo e a loro volta si
sentono chiamati e mandati. Nelle pagine in questione non è svelato
direttamente tutto, ma non è difficile comprendere. Il Signore vuole bene
agli uomini e intende aiutarli per mezzo di altri uomini. "La pesca
miracolosa" da rinnovare consisterà nella trasformazione delle menti e
dei cuori e nel compimento di opere di verità e di giustizia. E questo
avverrà in una prospettiva di fiducia e di positività dal momento che il
Cristo assicura: "Vi farò pescatori di uomini". La risposta degli apostoli
e in conseguenza di ognuno di noi, come quella di Isaia, sarà: "Ecco, manda me".
E' però necessario passare attraverso un atto di purificazione. E' quello
che ci proponiamo di fare nel tempo della Quaresima che ormai è alle
porte.
don Francesco
Incontri sociali
11 Gennaio 2013
Celebrate la solennità del Natale - nel quale Dio visita il suo popolo non in forma provvisoria ma con scelta definitiva, perché assume in tutto e per tutto la condizione umana (e questo è l’evento fondamentale della storia); celebrata anche la festa dell’Epifania – nella quale il Dio diventato uomo si manifesta ai Magi chiamati da paesi lontani come simbolo di tutta l’umanità che si trova in ricerca e in cammino verso la luce; la festa del Battesimo di Gesù viene a noi per confermarci circa la vera identità del Cristo:“Questi è il Figlio mio, l’eletto, ascoltatelo” e circa la sublime dignità di cui sono rivestiti coloro che credono in lui:”A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
Al fondamento di queste realtà non può che far seguito il discorso dell’azione. Siamo sollecitati “a vivere con sobrietà, giustizia e pietà”. La pietà indica l’atteggiamento spontaneo e fiduciale verso Dio, che deve sempre caratterizzare la condotta quotidiana del cristiano. La sobrietà sottolinea l’esigenza di una misura, di un equilibrio nell’uso delle cose e dei beni, di cui soprattutto in questo tempo sbilanciato verso il consumo, l’esagerazione e il superfluo vediamo l’importanza. La giustizia infine richiama la totalità dei rapporti di ciascuno verso l’altro e verso il corpo sociale. Nessuno può vivere solo per se stesso perché siamo un unico corpo.
v
Sulla base di quest’ultima considerazione mi piace dare la comunicazione circa la proposta di tre incontri di carattere sociale (vedi locandina “Ricostruiamo la città”). Già l’antico filosofo scriveva che la realtà è in continua trasformazione, “tutto scorre come l’acqua in un fiume”, ma straordinaria e incontrollabile si è fatta l’accelerazione del cambiamento. Ci fermeremo tre serate per riflettere, per capire, per confrontarci e quindi vedere di prendere orientamenti adeguati e di crescere in senso di responsabilità.
don Francesco
E’ Natale
28 Dicembre 2012
Celebriamo la nascita di un bambino il cui nome è Gesù, del quale è madre Maria di Nazaret e padre Dio stesso, l’Eterno – “sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo”-
il quale nelle parole del Salmo proclama:”Mio figlio tu sei. Io oggi – si tratta dell’oggi dell’eternità - ti ho generato”.
L’avvenimento viene comunicato come evento unico non alle segreterie dei governi e dei loro organi amministrativi, non alle agenzie di propaganda e di informazione ma ad alcuni pastori che stanno vegliando la notte per custodire il gregge, nella campagna di Betlemme che è un piccolo centro abitato pochi chilometri a Sud di Gerusalemme.
All’improvvisa una luce misteriosa illumina il cielo e tutto il paesaggio notturno. I pastori sono colti per un attimo da paura e senso di smarrimento ma ecco che irrompe un angelo e grida:”Vi annuncio una gioia che sarà in voi e in tutto il popolo. Oggi a Betlemme è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Ed ecco che una moltitudine di Angeli appare nel cielo e intona il canto.”Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama, uomini di buona volontà”.
Commenta S. Paolo:”E’ apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini”. Meditiamo il mistero del Natale e accogliamo il dono che viene dall’alto. Ripensiamo le parole dell’evangelista S. Giovanni: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”
Don Francesco
Beata te che hai creduto
23 Dicembre 2012
Il Signore viene
Con parole nello stesso tempo poetiche e profetiche la liturgia della IV
domenica ci prepara alla contemplazione del mistero della nascita del
Nostro Signore Gesù Cristo. S parte dal profeta Michea nel quale è
scritto:"Tu, Betlemme, non sei la più piccola tra le città della Giudea,
poiché da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore....le sue
origini sono nei giorni più remoti...sarà grande fino agli estremi confini
della terra"; si ascolta in seguito la voce di Elisabetta, la quale
dichiara implicitamente la fede nel Figlio di Dio ed esclama:"A che cosa
devo che la Madre del Signore venga a me?"; si giunge infine
all'evocazione, da parte dell'autore della lettera agli Ebrei, dell'attimo
stesso della decisione da parte di Cristo che, assumendo la carne ed
entrando nel mondo, dice:"Ecco io vengo a fare la tua volontà", compirò
l'offerta, sacrificherò me stesso per la santificazione e salvezza di
ogni uomo.
Lo sguardo contemplativo si fissa prima di tutto a Maria, alla quale
appartiene la beatitudine della fede:"Beata colei che ha creduto
nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Si volge poi a Colui
che è vicino, che sta per arrivare per essere la guida, il pastore, il
Salvatore:"Si leverà e pascerà con la maestà del nome del Signore". Si
allarga infine verso la comunità degli uomini che sono in festa, per la
gioia della venuta del Savatore: "Abiteranno sicuri...Egli stesso sarà la
pace".
O Emanuele, attesa dalle genti e loro Liberatore, vieni a salvarci con la
tua presenza.
Don Francesco
IO SONO L'ALFA E L'OMEGA
Signore dei signori
24 Novembre 2012
L'introduzione nel calendario liturgico della Solennità di Gesù Cristo Re
dell'Universo è dovuta al Papa Pio XI, dopo una importante Mostra
Missionaria Mondiale tenuta a Roma e alla conclusione dell'Anno Santo del
1925. Nella circostanza l'intento del Pontefice era principalmente quello
di dare rilievo ad una realtà del tutto evidente nel Vangelo, poiché è
scritto che a Cristo "è stato dato ogni potere in cielo e in terra".
Alcuni però subito hanno intuito e in seguitogli storici hanno ben capito
che il Papa aveva in cuore una seconda intenzione, non dichiarata ma non
del tutto nascosta, imposta dai fatti, da coloro che in quegli anni
avevano o stavano per assumere il comando delle nazioni. Si stavano
affermando in alcuni paesi d'Europa quei regimi totalitaristici che
avrebbero portato l'Europa a cose terribili, ad eventi di odio, di
violenza, di guerra, di distruzione e di morte. Pertanto il Pastore della
Chiesa sentiva di dover dichiarare e additare davanti al mondo intero
che è Gesù Cristo l'unico Capo da ascoltare, seguire e amare, Egli che è
pure il giudice, delle singole coscienze e della storia universale.
Su queste premesse possiamo accogliere due suggerimenti fondamentali che
ci vengono dalle letture della Messa domenicale.
Il primo ce lo offre libro dell'Apocalisse. "Gesù Cristo è il testimone
fedele, il primogenito dei morti e il sovrano del re della terra". Vuol
dire che egli ha testimoniato la verità e la giustizia con la sua vita e
con la sua passione e morte; che è risuscitato da morte ed ha aperto
prospettive di salvezza e di speranza per ogni creatura umana; che è
l'unico Signore, "il Re dei re e il Signore dei signori", davanti al quale
devono piegarsi i governatori delle nazioni, in qualunque modo siano
arrivati all'esercizio del potere.
Il secondo suggerimento ci è dato dal Vangelo. Quando Gesù dice che "chi è
dalla parte della verità ascolta la sua voce" non sta facendo della
teoria, ma mette l'accento su una questione fondamentale. Chiunque
desidera veramente di capire come stanno e vanno le cose per poi
intervenire e agire in modo corretto - e questo in tutte le situazioni
importanti che coinvolgono la vita e la coscienza delle persone e dei
popoli - non può trascurare di ascoltare la voce di Cristo, per avere
presente ciò che egli veramente ci chiede.
Don Francesco
Allora vedranno il Figlio dell'uomo
18 Novembre 2012
Nella penultima domenica dell'anno liturgico le letture bibliche, con
tutta naturalezza e nello stile loro proprio, ci suggeriscono pensieri
inerenti alla fine.
Dalle immagini del cielo, i cui elementi vengono sconvolti, e da quelle
del Figlio dell'uomo, che con potenza e gloria appare sulle nubi, siamo
invitati - come è scritto nel vangelo - a considerare la realtà dei
segni, ora eclatanti ora silenziosi, della misteriosa ma reale azione di
Dio. E' presente all'inizio della nostra vita e di tutta la storia
umana come Creatore, accompagna ogni passo e guida ogni tappa come
Redentore poiché è "lui la nostra vita", sarà presente alla fine come
Giudice, e Compimento.
Non mancherà per tutti il tempo della prova, la grande tribolazione, ci
sarà quindi la Risurrezione dai morti quando "quelli che dormono nella
regione della polvere si risveglieranno", avrà luogo infine il giudizio:
"per la vita eterna per chiunque si troverà scritto nel libro" o "per
l'infamia eterna" per chi non ne sarà stato degno. Queste convinzione di
fede, a lungo restate implicite nella coscienza credente dell'Antico
Testamento, piano piano si sono fatte esplicite fino ad apparire in tutta
evidenza nella parola e nella missione di Gesù.
Il nucleo del tutto comunque, cioè il centro non solo della storia ma di
tutto l'universo, ancora una volta dall'autore della lettera agli Ebrei
viene individuato nel dono di Cristo. "Con un'unica offerta egli rende
perfetti per sempre quelli che vengono santificati". E' in lui che poniamo
la nostra speranza.
Don Francesco
Due monetine per il tesoro del tempio
10 Novembre 2012
Nel messaggio della domenica XXXII la parola passa alle vedove, nella
cultura biblica fatte, insieme con i loro figli, simbolo dei poveri e
degli sfruttati. E' scritto infatti che "una vedova gettò nel tesoro del
tempio due monetine, che fanno un soldo", indicando così uno stato di
povertà. E' scritto inoltre un ammonimento a "guardarsi dagli scribi
che..divorano le case delle vedove", per indicare uno condizione di
debolezza che consente a soggetti più forti di prevaricare impunemente.
Di fronte a queste situazioni, che in riassunto non fanno altro che
svelare come spesso vanno le cose del mondo, il testo sacro apre la strada
a due considerazioni. La prima - attraverso un intervento di Gesù, duro ma
anche sereno e attraverso un miracolo del profeta Elia, inatteso e
portatore di speranza - ci induce a pensare che Dio è vicino e aiuta, al
di là e al di sopra di fatti, di apparenze e dentro le difficoltà delle
prove. La seconda tende a togliere il velo su quel segreto di amore e di
dedizione di cui spesso le persone sono capaci, in particolare le donne e
anche coloro che conoscono i condizionamenti della povertà.
Il tutto può essere letto come una critica a coloro che descrivono la
situazione di vita nei nostri giorni in termini di sfiducia e di
pessimismo, seminando così nella società scoraggiamento e spirito di
rinuncia, quasi che davanti alla crisi economica e ad avanzanti forme di
povertà non ci sia null'altro da fare che denunciare e accusare.
Le due donne di cui è fatta menzione fanno tutto il possibile, nel segno
della solidarietà e della speranza, l'una a favore della persona del
profeta, l'altra per il tempio, momento essenziale della vita religiosa e
comunitaria.
Don Francesco
Hai detto bene, Maestro, che Egli è unico
05 Novembre 2012
Il Vangelo della Domenica XXXI ancora una volta riporta in primo piano il discorso sui comandamenti che sono riassunti nel duplice precetto di “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutte le forze e amare il prossimo come se stesso”.
Nella relazione che ne fa S. Marco mi colpiscono molto sia la premessa che la conclusione.
La premessa è questa:”Hai detto bene e secondo verità che Egli è unico”. Al centro di tutto il discorso religioso, dall’inizio fino alla fine, sta la realtà di Dio, grande, unico, onnipotente, il cui Spirito riempie l’universo riversando in esso ogni bene. Non sempre portiamo dentro di noi il sentimento della infinita grandezza di Dio e della sua trascendenza, benché sappiamo che “i cieli e la terra sono pieni della sua gloria ”. Sull’argomento sarebbe opportuno che gli uomini e le donne del nostro tempo facessero un serio esame di coscienza. Quando mai è dato incontrare gesti, parole, fatti, comportamenti – individuali e collettivi – nei quali Dio è riconosciuto e fatto conoscere nella sua grandezza secondo le parole di Maria: ”L’anima mia magnifica il Signore…. Ha manifestato la potenza del suo braccio..”?
La conclusione, cioè le parole che seguono la sintesi del comandamento, afferma infine che “amare Dio vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Alto è il valore della preghiera, indispensabile e necessaria è l’orazione, ma innalzare preghiere, compiere riti e fare gesti esteriori postula una condotta ispirata dall’amore e dalla passione per la giustizia. Dove manca l’amore non si può parlare di vera religiosità.. “Non atti cultuali, ma amore e giustizia io voglio”, dice il Signore.
Don Francesco
Vedere e Camminare
28 Ottobre 2012
I lettori attenti del Vangelo secondo Marco non mancano di notare che il
racconto della guarigione miracolosa di Bartimeo, il cieco di Gerico, ha
una collocazione strategica alla fine del capitolo decimo. Gesù, fatte le
sue proposte con il discorso su matrimonio e famiglia, con il chiaro
insegnamento su denaro e ricchezza e con la precisa delimitazione del
valore di servizio che assume ogni esercizio dell'autorità e del potere
nella comunità degli uomini in qualunque luogo si trovino, invita a
scegliere e chiama alla sequela: "fa questo e vivrai. vieni e seguimi".
Si tratta dunque di capire che quella indicata da Cristo è la via giusta
e che bisogna percorrerla.
Mentre Gesù lasciava la città per riprendere il cammino, ecco che un uomo,
cieco, se ne stava seduto sul ciglio della strada e mendicava. Non era in
grado né di vedere né di camminare e per conseguenza chiedeva in primo
luogo una elemosina, ma nel profondo del cuore cercava qualcosa d'altro,
quello che soltanto quell'uomo santo e potente che gli stava passando
accanto, su quella strada, poteva accordargli. "Figlio di Davide, abbi
pietà di me..Fà che io veda di nuovo...".
La risposta di Gesù fu immediata e si rivelò efficace:"La tua fede ti ha
salvato".
L'uomo immediatamente riacquistò la vista e prese a seguire il Signore.
A che cosa mira dunque questa conclusione del capitolo se non a farci
aprire gli occhi per riconoscere Gesù e camminare? Troppo spesso i nostri
occhi sono spenti, non vedono o non vogliono vedere. Non sanno guardare e
quindi non percepiscono né le cose vicine né quelle lontane, non danno
prospettiva alla vita e quindi non mettono la persona in una tensione di
ricerca. Così il Maestro non è né visto né compreso. E non entrando in
sintonia con Lui neppure siamo in grado di percorrere una strada.
Don Francesco
Servizio nella fede e nell'amore
20 Ottobre 2012
Un duplice filo lega le letture della liturgia della Domenica XXIX.
Il primo, continuando il magistero di Cristo sulle cose fondamentali, è
quello dell'esercizio del potere e dell'autorità nella vita della comunità
cristiana e della stessa società. "Voi sapete che i governanti delle
nazioni dominano e opprimono, ma tra di voi non deve essere così. Chi
vuole diventare grande tra di voi sarà vostro servitore". Con poche parole
e con assoluta chiarezza il Signore Gesù constata ciò che avviene, invita
dunque a guardare bene dentro la realtà effettuale, e indica la condotta
che deve tenere colui che si trova ad esercitare il compito di guida;
questo non potrà avvenire se non in spirito di giustizia e di carità.
L'incomprensione degli apostoli Giacomo e Giovanni e la preoccupazione che
desta negli altri una loro iniziativa presso il Maestro, rivelano e
riflettono come in uno specchio tutta la difficoltà non soltanto a
praticare quanto a capire lo spirito di questa missione.
Il secondo riguarda la salvezza dell'umanità, a cui mira il servizio al
quale Gesù intende associare i discepoli, per compierlo insieme con loro,
attraverso il dono di se stesso, il sacrificio della propria vita. Le tre
letture concordano in modo assoluto. Isaia:"Offrirà se stesso in
sacrificio di riparazione.il giusto mio servo giustificherà molti".
L'autore della lettera agli Ebrei: " Con piena fiducia accostiamoci,
abbiamo un Sommo Sacerdote che prende parte alle nostre debolezze".
Marco Evangelista: "Il Figlio dell'uomo è venuto per servire e per dare la
vita in riscatto per tutti".
Ne derivano due insegnamenti per l'annuncio del Vangelo- tutti siamo
chiamati a farlo- in questa che è la Giornata missionaria mondiale.
Manteniamo ferma la "professione di fede", che ha nel suo cuore la
passione, morte e risurrezione del Signore. Manteniamoci fedeli nel santo
servizio nella dedizione a Cristo Signore, per amore di tutti fratelli e
sorelle.
Don Francesco
Le eterne questioni al vaglio della Parola di Cristo
13 Ottobre 2012
Le questioni del matrimonio e della famiglia, del denaro e della proprietà, dell’autorità e dell’esercizio del potere, riferimento costante dell’esperienza e dei dialoghi quotidiani, hanno una trattazione, breve come si addice allo stile del Vangelo, al capitolo decimo secondo Marco, cui corrisponde il capitolo diciannovesimo secondo Matteo.
Nella domenica XXIX il tema della ricchezza è introdotto nella cornice di un giovane, che si presenta con tanto entusiasmo da arrivare di corsa davanti a Gesù, per porgli quella che per un vero credente è la domanda più normale:”Che cosa devo fare per avere la vita eterna”? A sua volta Gesù risponde in modo quasi ovvio: “Se vuoi entrare nella vita devi osservare i comandamenti”.
La situazione però si complica, quando il Cristo stesso, intuendo la personalità e le qualità dell’interlocutore, gli lancia la proposta forte. Dice:”A ben vedere ti manca una cosa. Và dunque a casa tua, vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri. Poi torna qui e seguimi”.
Il giovane non accetta la sfida, si fa scuro in volto e se ne và via triste. “Possedeva infatti molti beni”. Risulta evidente che la marcia in più per vivere con coerenza il Vangelo richiede la rinuncia alla ricchezza e a tutto quello che l’essere ricchi - o il desiderare e cercare di arricchire – comporta.
Le affermazioni che Gesù pronuncia a conclusione dell’episodio sono rivolte a tutti e vengono affidate alla nostra intelligenza e al nostro senso di responsabilità. E’ evidente che Gesù non condanna la ricchezza, ma mette in luce la sua natura di mezzo per la vita degli uomini e non di fine. Egli dunque avverte:”Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Dio…è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio”. La questione è forte e urgente. Non può essere messa tra parentesi e merita una risposta personale e coerente. Lo esprimono molto bene gli apostoli con un ulteriore interrogativo che mette disagio:”…e chi mai può salvarsi?”.
Don Francesco
Inizia l'anno 500° della Basilica di Santa Maria degli Angeli
29 Settembre 2012
Sabato 29 settembre la Parrocchia di S. Marco apre solennemente, con la Celebrazione Eucaristica presieduta da S. Em. Rev.ma il Cardinale Giovanni
Battista Re, il 500° anno della Basilica di S. Maria degli Angeli.
L'Anno giubilare, durante il quale sono programmati numerosi appuntamenti, dopo la solenne Cerimonia di apertura continuerà con una Settimana della
Parrocchia, nel segno dei Sette Sacramenti. Non possiamo infatti pensare alla nostra vita di cristiani senza fare riferimento ai Sacramenti: al
Battesimo, alla S. Comunione, alla Confessione e agli altri santi segni della fede cattolica che caratterizzano così profondamente la nostra
quotidiana esperienza di credenti e permeano tutta la vita parrocchiale.
Sono chiamati segni efficaci della grazia, perché in essi la preghiera della Chiesa, che celebra e invoca, è esaudita dallo stesso Signore Gesù.
Egli interviene con la sua azione per santificare la nostra vita, con la sua grazia di comunione per fare di noi un corpo solo, con la sua energia
spirituale per nutrire la fede e rafforzare tutto il nostro essere.
Essi sono doni di Cristo, sono opera della Chiesa, sono simboli della nostra fede, sono atti per mezzo dei quali si realizza la salvezza dell'uomo, sono finestre che si aprono sulla vita vera, la vita che non conosce tramonto.
Per queste ragioni abbiamo deciso di celebrare con particolare intensità una settimana della Parrocchia. Quasi per ritornare alla freschezza delle sorgenti e attingere all'abbondanza della fonte divina."Tu visiti la terra e la disseti...il fiume di Dio è gonfio di acque"(Ps.65,10).
Sentiamo su di noi l'intercessione di Maria SS.ma Regina degli Angeli e guardiamo all'esempio luminoso di S. Francesco d'Assisi, del quale nella Settimana ricorre la Festa.
Don Francesco
Dentro la cronaca. Dove sta il senso del servizio?
22 Settembre 2012
In questa domenica 23 settembre il messaggio della Liturgia e le notizie
della cronaca vanno a combaciare perfettamente. Si parla di
amministratori che hanno la disponibilità di molto denaro, che acquistano
beni lussuosi quali possono essere ville appartamenti nel centro storico
della capitale e yacht; si parla di uso privato del denaro pubblico, di
divertimenti, di vacanze, in conclusione di assoluta insensibilità da
parte di politici, che sono stati eletti per essere al servizio della
comunità civile, davanti al dramma di famiglie e persone che non riescono
a far quadrare il bilancio di fine mese. E' questa una storia antica che
immancabilmente continua a ripetersi sotto i nostri occhi.
Di fronte a questi comportamenti apriamo il libro sacro, leggiamo e
ascoltiamo il libro della Sapienza. Subito ci avverte che gli individui
che si attengono ai comandamenti sono pochi e risultano anche fastidiosi.
Sono difficili da sopportare. Per questo si tende a ridimensionarli e ad
emarginarli; frequentemente vengono perseguitati e talvolta perfino
eliminati. "Condanniamoli ad una morte infamante"(2,20).
La causa principale va cercata nella cupidigia e in tante voglie
inconfessate. L'apostolo Giacomo lo denuncia con forza. "Da dove
vengono infatti le discordie e anche le guerre?..Siete pieni di brame,
volete possedere ad ogni costo, siete invidiosi .volete soddisfare le
vostre passioni. Le cattive azioni abbondano là dove c'è gelosia e spirito
di contesa".
Queste questioni possono toccarci da vicino. Anche gli apostoli infatti,
ancora imperfetti nel cammino di sequela del Maestro, subivano il fascino
del potere e dell'avere, e perciò non riuscivano a nascondere le loro
aspirazioni. "Mentre camminavano per la strada discutevano tra di loro chi
fosse il più grande".
Nella circostanza Gesù riprese il filo del discorso dall'inizio. Si
sedette, con calma si mise a ragionare con gli apostoli e in conclusione
disse:"Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore
di tutti".
Don Francesco
La Festa della gioia
15 Settembre 2012
La Festa dell'Oratorio, che per tradizione si celebra in quasi tutte le
parrocchie a settembre - mese nel quale riprendono tutte le attività
scolastiche, catechistiche e ricreative - a Gardone V.T. viene chiamata
"Festa della gioia". Vengono in tal modo evidenziati la partecipazione
corale specialmente dei bambini e il senso di serenità che la loro
presenza come per contagio diffonde. Lo sta a dimostrare il grande
afflusso di persone di tutte le età, che nella circostanza sembrano
ritrovare quel senso di appartenenza al territorio e alla comunità, è dato
per smarrito a motivo della frenesia dei ritmi feriali. Esso in realtà è
sempre vivo non manca di ricomparire come punto fermo dei rapporti
personali e familiari.
Sono anche i giorni nei quali viene data forma alla programmazione
annuale, nella quale non è difficile leggere la cura cristiana per la
crescita e la formazione della gioventù. Si parte dai più piccoli per
protendersi oltre l'età adolescenziale fino alla giovinezza, con uno stile
di impegno caratterizzato da vera passione educativa, nel quale un
autentico spirito di collaborazione fa sì gli uni diano la mano agli
altri. Molte cose, molte attività, molte proposte, molte possibilità fanno
oggi correre il rischio di perdere la concentrazione e di nascondere
quello che dovrebbe essere il centro di tutto. Ma non è impossibile
prendere posizione.
La liturgia domenicale non entra direttamente in questioni giovanili,
eppure continua ad offrire un aiuto per tenere presenti le questioni più importanti. Viene prima di
tutto la fede in Cristo:"Voi chi dite, che io sia?". Segue immediatamente
dopo il proposito di impegnarsi:"Camminerò alla presenza del Signore nella
terra dei viventi". Conclude l'appello a scegliere con determinazione di
seguire Cristo e a non temere il sacrificio:"Il Signore mi ha aperto
l'orecchio e io non mi sono tirato indietro".
Don Francesco
Gli disse "Effatà", cioè:"Apriti!"
09 Settembre 2012
L'apostolo Giacomo alza la voce e chiede con forza che tra i discepoli di
Cristo - e quindi nella comunità cristiana ma il discorso si allarga alla
vita umana in ogni società - vengano eliminate tutte le forme sia di
discriminazione che di favoritismo. Il discorso è di una evidenza
assoluta, eppure siamo ben lontani anche oggi dal vederlo applicato.
Da parte sua il Cristo, il nostro Maestro, non ha mai fatto differenze al
riguardo. Lo dimostra il testo evangelico della Domenica XXIII, nel quale
prima si accenna alla predicazione di Gesù in quel territorio che noi oggi
chiamiamo Libano e dopo presenta il Signore, che ha compiuto un lungo
viaggio da Ovest a Est, nell'atto di compiere una guarigione nel
territorio della Decapoli, una zona che noi oggi chiamiamo Giordania. Gesù
senza discriminazioni annunciava il Vangelo e compiva miracoli non solo in
Palestina per gli Ebrei, ma anche nei territori limitrofi per i pagani.
Vale la pena tuttavia notare in un secondo momento che assume grande
valenza simbolica il fatto del miracolo stesso, la guarigione di un
sordomuto. Le facoltà di sentire e di parlare sono elementi indispensabili
della vita umana, per la comunicazione, per l'incontro come per ogni opera
che l'uomo intende fare, ma diventano anche segno forte dell'identità del
discepolo di Gesù. Si tratta prima di ascoltare per imparare, per capire,
per vedere. Poi si tratta di parlare per esprimere, per dialogare, per
decidere e quindi agire. In sintesi siamo chiamati a camminare insieme
sulla strada della vita, verso la meta. E' scritto perciò nel libro del
profeta che "si schiudono gli orecchi dei sordi, si aprono gli occhi dei
ciechi, grida di gioia la lingua del muto e gli zoppi camminano. Coraggio,
non temete!".
Così è per i cristiani, a questo sono chiamati tutti gli uomini senza
differenze.
Don Francesco
Osserverai i comandi del Signore
02 Settembre 2012
Si ripresenta il tema fondamentale della Parola di Dio. Dio ha
parlato per tutti e - dei suoi pensieri, dei suoi voleri e dei
suoi disegni - sono eco le Sacre Scritture; Dio parla
direttamente al cuore di ciascuno che sappia cercare il
silenzio e mettersi in ascolto. Il salmista suggerisce:
"Ascolterò che cosa dice il Signore Dio".
Nella Liturgia della Domenica XXII vengono date quattro indicazioni
fondamentali.
Al primo posto sta l'affermazione dell'apostolo Giacomo riguardo al valore
salvifico della Parola. Essa è "stata piantata in noi e può portarci alla
salvezza". Non è dunque una parola insignificante o discutibile, tanto
meno oziosa o pettegola; per chi l'accoglie con convinta adesione
diventaxautentica energia attiva ed efficace.
Viene quindi logico l'appello a valorizzarla come dono prezioso. Così
prescrive il libro sacro:
"Ascoltate la parola, osservatela, mettetela in pratica; non siate
soltanto ascoltatori illudendo voi stessi". E' parola di vita e dunque non
mira alla vita, intende guidare nelle scelte che sono da compiere nella
vita concreta. La sola conoscenza intellettuale è insufficiente.
In un terzo momento nelle letture si può quasi vedere come un riferimento
ai giudizi e alle opinioni correnti fra la gente, in tutti i tempi e
luoghi. Il testo afferma che la persona che si attiene alla parola si
rivela come l'unica che sia saggia e intelligente. E' la pura verità, ma
anche una provocazione, perché il mondo non la pensa così. Risulta
tuttavia evidente, a San Paolo e a tutti i veri credenti, che "la
stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più
forte degli uomini".
Il Vangelo infine pone l'accento sul rischio che tutti corriamo, quello di
dare importanza alle cose secondarie e di trascurare quelle importanti.
Accoglie veramente la Parola solo chi di conseguenza si impegna per
portare frutti di giustizia e di carità. Infatti "pieno compimento della
legge divina è l'amore".
Don Francesco
La casa, la sala da pranzo, il pane e il vino
18 Agosto 2012
La Sapienza ha costruito la casa, ha arredato la sala da pranzo, ha
preparato i cibi e le bevande per il grande banchetto e ha diramato gli
inviti. "Venite, dunque! Mangiate il mio pane e bevete il vino che io ho
fatto preparare per voi".
Notiamo associate in queste parole del libro dei Proverbi, che fanno da
introduzione alle letture della XX domenica, alcune idee fondamentali per
la vita cristiana e pure per la vita di ciascun uomo senza fare ricorso a
particolari specificazioni.
Lasciamo che la casa sia costruita dalla sapienza che viene dall'alto. Sia
essa la casa della universale convivenza dei popoli così turbata dalle
divisioni e dalle guerre, oppure si tratti della casa della nostra società
a sua volta in ricerca di un impossibile equilibrio - di giustizia e di
carità, di diritti e di doveri, di pesi e di vantaggi fra i suoi
componenti - o sia infine la casa in senso stretto, cioè il luogo dove
vive la famiglia, sottoposta a tante insidie. "Sia pace nella tua casa".
Prepariamo insieme l'ambiente e tutto il necessario perché ci sia la festa
e il banchetto. Questo significa simbolicamente creare e favorire le
condizioni perché la gente si incontri, si parli, si comprenda, sappia
stare insieme in modo tale che ognuno si senta accolto, nessuno si veda
escluso. Infatti "la sapienza ha mandato i messaggeri sui più alti punti
della città" a portare a tutti l'invito.
Nutriamoci con il pane della vita e il calice della salvezza. Con la casa
e l'ambiente sia preparato anche il cibo. Il pane assurge a simbolo del
nutrimento spirituale per l'intelligenza, il cuore, la vita dell'anima;
il calice del vino richiama la grazia dello Spirito Santo con i sette
doni, specialmente la verità l'amore e la fortezza. Chiediamo alla
Sapienza che è Cristo stesso di diventare come Lui, che ha detto: "Il mio
cibo è fare l volontà del Padre".
Don Francesco
Strade parallele?
12 Agosto 2012
La cronaca estiva continua imperterrita il suo prevedibile percorso, al
modo di un cliché predisposto da tempo sul modello degli anni passati:
selvaggi incendi boschivi, da Nord a Sud e da Est ad Ovest, provocati con
inesausta protervia da menti stupide e cattive; tentativi talvolta assurdi
di evasione dall'ordinario con il relativo seguito di incidenti mortali
per imprudenti escursioni, per azzardate immersioni, per pazze avventure
notturne; eco di lontane o forse molto vicine violenze guerre
dimostrazioni stragi bombe attentati aggressioni sbarchi; nostalgia
segreta infine di silenzio e di quiete, che né troviamo né conosciamo,
perché dovunque andiamo, in campagna in montagna al lago al mare, in
tutti gli ambienti dominano chiasso, urla, grida, fischi - anche le
ambulanze talvolta sembrano metterci del proprio - parole e sempre parole,
cellulari, rumori e motori.
La Chiesa sembra sapere queste cose e perciò, non indifferente ma
determinata, in questi giorni prima di tutto ci propone la celebrazione
della memoria di una serie di santi eccezionali quali sono stati Domenico
di Guzman, Edith Stein, Lorenzo diacono, Chiara d'Assisi, Massimiliano
Kolbe. Poi ci invita a non cessare di guardare avanti, movendo passi
sicuri nella direzione della meta finale, e ci sollecita a guardare a
quelli ci stanno intorno, a stare uniti come una sola famiglia, a formare
un solo popolo. La liturgia non scende nei minimi particolari, non dà
indicazioni minute sul da farsi, ma sempre si dà premura di mettere in
luce ciò che è sostanziale.
Tenendo presente questo, possiamo accogliere la parola dell'apostolo
Paolo:"Camminate nell'amore, amando come Cristo ha amato, come lui che ha
dato se stesso per noi". E possiamo sentire il desiderio di imitare il
cammino esemplare - attraverso il deserto e fino alla meta - compiuto dal
profeta Elia:"Egli con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e
quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb".
Don Francesco
Dacci sempre questo pane
04 Agosto 2012
Nella successione di testi biblici noti e molto profondi che ci è data
dalla Liturgia, forse non esiste un punto cardine intorno al quale
costruire un'unica riflessione in questa domenica XVIII, che cade nei
giorni della calura estiva tipica di questo inizio del mese di agosto.
Forse il messaggio principale sta in quel "datevi da fare per il cibo che
rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà", il pane che
scende dal cielo. Nel vangelo tuttavia segue immediatamente una
affermazione tale da sorprenderci:"Il pane di Dio è quello che discende
dal cielo e dà la vita al mondo". Ci chiediamo se questo pane è qualcosa
(quello) o qualcuno (Colui);
se, sull'esempio biblico della manna, è un dono speciale del Padre, o è il
Cristo stesso?
Si riaffaccia perciò l'eterna questione della fede. Ai Giudei, che gli
stanno intorno pressandololo da ogni parte e gli chiedono indicazioni
circa quello che essi devono fare per compiere l'opera di Dio, Gesù
risponde:"Questa è l'opera di Dio: che crediate in Colui che egli ha
mandato".
Egli chiede la fede. E' stato mandato per essere il nuovo Mosè, la guida e
il centro di unità per tutti gli uomini e le donne che per raggiungere la
terra promessa devono attraversare le complesse vicende delle vite
individuali e della storia collettiva. Egli è presente sempre e quindi
possiamo contare su di lui, ma permangano tutte le precarietà e le
difficoltà della vita quotidiana. Il popolo, tutte le persone, deve
fidarsi:" Ogni mattina dovrà uscire per raccogliere la razione di un
giorno".
Don Francesco
Un solo Spirito un solo Corpo
28 Luglio 2012
Il tutto va ricondotto al principio unitario: ecco il messaggio che nella
Domenica XVII parte dalla lettera agli Efesini. La sintesi presentata
dall'apostolo San Paolo è chiara e stringente: un solo Dio e Padre di
tutti, un solo Signore Gesù Cristo, un solo Spirito, una sola fede, un
solo battesimo, una sola speranza, quella della nostra vocazione, un solo
corpo cioè una comunità credente, la Chiesa, che vive nella perfetta
unione di tutti i suoi membri, in quanto totalmente rivolta a Dio e
permeata dal suo mistero.
In questa luce appare esemplare il comportamento del profeta Eliseo, al
quale un uomo proveniente dalla città di Baal- Salisà offre, come primizia
riservata ai sacerdoti dell'Antico Testamento, venti pani. "Dalli da
mangiare alla gente", ordina il profeta. In un tempo di grande carestia,
quando la gente pativa la fame, il profeta non poteva trattenere per sé
quanto era stato donato e quindi ne faceva parte con chi era nel bisogno.
Condivideva con il popolo.
Egli anticipava, in grazia di un miracoloso intervento divino, quello che
avrebbe compiuto il Signore Gesù, il quale a sua volta non solo metteva a
disposizione i cinque pani e i due pesci presentati da un ragazzo ma li
moltiplicava a favore di una enorme folla, nella quale i soli uomini erano
oltre cinquemila. Dunque ciò che perviene come dono - è l'insegnamento
del Signore - non può diventare oggetto di possesso egoistico. Deve
essere offerto agli altri e solo così di conseguenza, per il miracolo
divino della moltiplicazione, potrà rifluire a vantaggio di tutti.
Contempliamo in tutto questo lo stile di Dio, che deve diventare la
regola dell'agire umano.
Sullo sfondo però intravediamo anche un'altra realtà, quella del pane del
cielo e pane della vita, il dono unico che Cristo Signore fà di se stesso
nell'Eucarestia.
Don Francesco
Venite voi soli
20 Luglio 2012
Gesù, salito sulla barca insieme con gli apostoli, stava dirigendosi verso un angolo di lago fuori mano, solitamente non frequentato, dove desiderava avere un momento di pausa e di tranquillità che fosse anche occasione di dialogo, di scambio diretto di pensieri, di sensazioni, di esperienze. Aveva detto ai discepoli:“Venite voi soli, in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un poco”. Ma tutte le persone presenti, una folla, avevano intuito l’intenzione, avevano capito dove stava dirigendosi e affrettando il passo avevano anticipato il suo arrivo.
Toccata la terra e volto lo sguardo verso tutta quella gente là convenuta, Gesù ebbe l’impressione di avere davanti a sé un gregge che non aveva né meta né guida, si commosse profondamente e cominciò a parlare. Sembrava giunto il tempo di un breve riposo, ma la situazione situazione richiedeva di continuare il servizio della parola:” Infatti erano come pecore che non hanno pastore”.
Fuori metafora - dimenticando le immagini tradizionali che parlano di pecore greggi e pastori -siamo portati a fare una considerazione sull’uomo di oggi.
Sono cambiati gli scenari, ma le persone continuano a presentare antiche domande. Studiamo tanto e siamo esperti in molti settori della scienza e della tecnica, ma c’è qualcosa d’altro che ci è necessario capire e chiarire. Siamo gelosi della nostra libertà, alla quale non vogliamo assolutamente rinunciare, ma non riusciamo a stabilire la meta e a trovare il percorso e perciò cerchiamo una guida. Stiamo insieme, ricchi del vivo senso della nostra dignità e di quella degli altri, ma sentiamo tutta la fatica di sentirsi una comunità, che sia “un solo corpo e un solo spirito”.
Egli ha anche detto:”Venite a me, voi tutti…Senza di me,non potete fare nulla”.
Don Francesco
Dentro un disegno benevolo e sapiente
15 Luglio 2012
Siamo dentro il disegno d'amore della divina volontà, il progetto
misterioso che Dio concepisce fin dall'eternità ed attua nel tempo con
ogni sapienza e intelligenza, mediante Gesù Cristo suo figlio.
Esso riguarda in primo luogo la dignità e la sorte di tutta l'umanità
nelle singole persone.
Qui le affermazioni, una più bella dell'altra, si rincorrono si incrociano
e si completano: l'uomo e la donna sono pensati prima della creazione del
mondo, sono scelti per essere santi e immacolati nell'amore, sono
predestinati ad essere figli ed eredi, sono ricolmati con il dono dello
Spirito Santo, sono riconciliati e infine salvati per un destino di
immortalità, sono viventi per manifestare la lode e la gloria di Dio.
Il disegno, realizzandosi secondo i tempi e i modi che Dio solo conosce,
concerne in un secondo momento il mondo intero, l'universo nella sua
completezza, perché "a Cristo, unico capo, devono essere ricondotte tutte
le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra". Così Dio sarà tutto in
tutti.
Davanti a questa rivelazione, che Paolo apostolo ci ripropone nella
domenica XV, viene spontanea l'invocazione che chiede di capire di più,
per entrare nel mistero e viverlo davvero:"Il Padre del Signore nostro
Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a
quale speranza ci ha chiamati". E comprendiamo altresì sia l'importanza
della missione degli apostoli, di cui ci parla il Vangelo:"Gesù li chiamò
a sé e prese a mandarli" sia il valore della tenace fedeltà, di cui è
eco la condotta del profeta di fronte alle minacce di chi vuole impedire
la sua testimonianza:"Il Signore mi prese, mi chiamò e mi disse:Và,
profetizza al mio popolo". Dove il Signore lo ha mandato, là esercita il
ministero.
Don Francesco
Ascoltare, non ascoltare
09 Luglio 2012
La mancanza di fede in Gesù da parte degli interlocutori si
rivelava come atteggiamento paralizzante dello spirito.
Rendeva impossibile per il Signore il compimento dei miracoli
e delle guarigioni. "Lì non poteva compiere nessun prodigio",
è scritto. E poi il testo sacro, quasi a sorpresa, aggiunge
che "Egli si meravigliava della loro incredulità".
Quello che ai moderni sembra ovvio, perché si può credere o non credere e
non ci sarebbe questione di differenza tra le due scelte, per il Vangelo
si rivela invece un difetto, una carenza che porta con sé delle
conseguenze anche gravi. La mancanza di fede può coincidere con il
rifiuto della fede e può giungere perfino alla neutralizzazione
dell'azione di Dio. Tutto questo ci colpisce fortemente perché ci rimanda
a considerare la dinamica sottesa all'azione di Cristo e alla risposta
che egli attende. Si tratta evidentemente della dinamica della libertà,
di una libertà tuttavia che non è indifferente, ma attenta all'altro e
responsabile. E' pronta ad accordare fiducia là dove è evidente un atto
ispirato da una relazione disinteressata, da una presa in cura, da una
ispirazione d'amore.
Per questa ragione e nonostante tutto la parola divina deve continuare a
risuonare in mezzo alla gente come un appello forte. "Ascoltino o non
ascoltino, sapranno almeno che un profeta è in mezzo a loro".
Don Francesco
La bambina dorme
30 Giugno 2012
L'evangelista Marco, nel suo Vangelo che è così breve, trova modo di
dedicare un intero capitolo, il quinto, per narrare di tre fatti, di tre
miracoli che mettono in risalto il potere di Gesù sulla malattia, sulla
morte, sulle oscure forze del male. La Liturgia di questa domenica XIII
riporta il racconto intrecciato dei primi due fatti, sui quali è bello
sostare ricordando alcune parole del libro sacro.Sono divenute celebri
nella tradizione cristiana.
Mentre una grande folla vuole avvicinarsi e spinge da ogni parte, Gesù
esclama:"Chi ha toccato le mie vesti?". Evidentemente è stata quella
donna che si era avvicinata a lui con assoluta fiducia pensando:"Se
riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata". A lei Gesù
poteva dire:"Figlia, la tua fede ti ha salvata, và in pace e sii guarita
dal tuo male".
Ma ecco che nel frattempo al capo della Sinagoga - il quale già aveva
invitato il maestro a correre presto nella sua casa perché "la sua
figlioletta stava morendo" - viene comunicato che non vale la pena di
insistere, perché "la figlia è morta". Gesù osserva, ascolta, agisce.
Senza affrettare il passo invita alla fiducia, a bandire ogni
allarmismo."Non temere, soltanto abbi fede!", dice al capo della sinagoga;
"La bambina non è morta, ma dorme", dice alle persone che già hanno
intonato i lamenti del lutto; entra in camera, prende la mano della
bambina e le dice:"Talità kum"; "fanciulla, io ti dico: alzati!". E la
bambina si alza e si mette a camminare.
Il messaggio è chiaro. La malattia, la morte e il male sono realtà
ineliminabili, con le quali l'umanità e anche noi personalmente avremo
sempre a che fare. Ma non siamo abbandonati, non siamo soli. Gesù è sempre
vicino a chi confida nel suo aiuto. E' il Salvatore.
Don Francesco
Festa del Redentore
09 Giugno 2012
Camminare insieme o fare ciascuno la strada per conto proprio? Creare uno
spirito di unione e di solidarietà oppure esasperare i contrasti, le
divisioni, le opposizioni e le lotte fino a dichiarare guerra? Cercare
le convergenze oppure lasciare che le linee, i percorsi, le strade si
allontanino senza più incrociarsi? Procedere in parallelo ignorandosi e
lavorando in solitudine oppure preparare condizioni che portano
all'incontro, al dialogo, alla condivisione?
Ecco alcune domande, che sottendono una questione essenziale, che non esce
mai dall'attualità. Domande che si presentano sotto facce diverse eppure
costituiscono una sfida quotidiana, perché interpellano in modo diretto
tanto la vita dell'individuo, quanto le forme dell'organizzazione sociale
e civile, il mondo dell'economia, della cultura e della politica. La
questione diventa importante anche sul versante religioso, per il quale
gli ideali di riconciliazione, di comunione e di armonia con Dio e con il
tutto e la realizzazione di una autentica vita comunitaria sono fattori
fondamentali. Ecco allora che la Festa del Redentore, che la Parrocchia
di Gardone celebra, parte dal tema della libertà, che il Cristo ha portato
ai singoli e a tutti perché fossero uniti. "Hai fatto di noi un regno"
(Ap.). Il riferimento alla istituzione dell'Eucarestia porta poi come
logica conseguenza a pensare al senso del dono. Chi dona se stesso cessa
di essere autoreferenziale per incontrare l'altro. Il riferimento alla
Comunione Eucaristica apre come una porta, quella che introduce alla
logica dell'unione, vera, profonda. "Un solo corpo, un solo spirito. che
siano una cosa sola".
Fare infine una processione eucaristica, compiere un breve viaggio sulle
strade a noi familiari nel segno di Cristo, significa affermare il
carattere pubblico della fede e la necessità di dare concretezza di
costruzione familiare e sociale all'interiore convinzione. Per vivere non
solo per se stessi, ma "per voi e per tutti". Gesù è il Redentore
dell'uomo, in senso pieno.
Don Francesco
Con tanti sentimenti nel cuore
04 Giugno 2012
La comunità vive ancora nella scia della grande gioia suscitata dalla celebrazione dei Sacramenti della Cresima e della Prima Comunione di 54 bambini, nello stesso tempo arrivati alla meta dell’Iniziazione cristiana e al termine del ciclo della Scuola Elementare. La loro gioia è stata la gioia dei genitori, delle famiglie, dell’Oratorio e di tutta la Parrocchia. Le successive celebrazioni liturgiche dell’Ascensione– nella quale il Signore sale al cielo ma ci assicura di continuare ad essere vicino a noi - e della Pentecoste –quando lo stesso Gesù manda lo Spirito Santo a trasformare il cuore dell’uomo e la realtà intera – hanno confermato e rafforzato il desiderio di un cammino comunitario nel segno della fiducia e della speranza. Nel frattempo, con una bella e partecipata celebrazione in S. Rocco, abbiamo concluso il mese di maggio, durante il quale abbiamo recitato con regolarità il S. Rosario e abbiamo volto lo sguardo alla vita e agli esempi dei santi francescani più conosciuti. Abbiamo altresì invocato da Maria, la Madonna del Popolo, una particolare benedizione per le famiglie, per i malati e per tutti i ragazzi, piccoli e grandi. L’Oratorio deve essere per la gioventù come una casa, un punto di riferimento essenziale, ed è per questo che stiamo mettendo a fuoco la questione, difficile ma urgente, della ristrutturazione del Palazzetto dello Sport. La famiglia poi è una grande risorsa per la quale l’Oratorio e la Parrocchia sono davvero impegnati. E’ anche la ragione per la quale stiamo vivendo queste ore e queste giornate in profonda sintonia con il Papa e con i partecipanti a Milano al Family Day, VII incontro mondiale delle famiglie. Siamo infine davanti alle conseguenze del terremoto che ha colpito duramente specialmente alcune zone del modenese e del mantovano. Ci ha molto turbato. Alla preghiera e ai sentimenti che sono affiorati spontanei dal nostro cuore, si unirà presto una concreta iniziativa di solidarietà.
Don Francesco
Dio sceglie per primo
10 Maggio 2012
I nostri ragazzi, e con loro i genitori i familiari e tutta la parrocchia, nei giorni che ricevono il Sacramento della Cresima e della Prima Comunione ascoltano una parola evangelica che parla loro soprattutto di amicizia. Anche a questa parola, come ad ogni altra, siamo invitati a dare la massima importanza. Le parole pronunciate da Gesù in tutto il Vangelo non sono tantissime, ma tutte evidentemente sono di eccezionale importanza. Penso che in questa celebrazione, che ci coinvolge direttamente in modo così intenso, le tre affermazioni sull’amicizia, che è il legame particolare che stringe persone che vogliono mettersi sullo stesso piano, meritino tutta la nostra attenzione e per divina grazia la nostra adesione e risposta.
“Vi ho chiamati amici”, dice il Signore.
Innanzitutto, a differenza di noi che spesso ci riveliamo persone esitanti e incerte, egli garantisce che la sua amicizia è sicura, salda e garantita. Non verrà mai meno. “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. Di lui ci possiamo fidare, non ci deluderà.
In secondo luogo egli chiede all’altra parte che siamo noi di impegnarsi nell’amore. All’amore si risponde con l’amore, con tutta la fatica ma anche tutto l’entusiasmo che l’esperienza di amare comporta. “Voi siete miei amici, se farete ciò che io comando. Rimanete nel mio amore”.
Infine Gesù lascia intravedere una strada tutta segreta, interiore, un cammino misterioso lungo il quale la conoscenza di Lui, del Padre e dello Spirito Santo si accrescerà fino a riempire il nostro cuore. Sarà la gioia di chi crede. “Tutto ciò che ho udito dal Padre lo faccio conoscere a voi. La mia gioia sarà in voi e la vostra gioia sarà piena”.
Don Francesco
Cose antiche sempre attuali
09 Maggio 2012
Nella semplicità della narrazione del capitolo decimo degli Atti degli Apostoli che è proposto nella domenica VI, possiamo sostare su tre momenti che contengono la messa a punto di questioni antiche eppure sempre nuove.
All’inizio si legge che nel momento che Pietro entra nella casa di Cornelio, questi - un romano che aveva fatto chiamare l’apostolo - in segno di profondo rispetto si inginocchia ai piedi dell’ospite. Pietro reagisce d’istinto, lo prende per il braccio, lo fa alzare ed esclama ad alta voce:” Alzati! Io sono un uomo come te. E’ soltanto davanti a Dio che dobbiamo inginocchiarci!”. Davvero non si potrebbe esprimere con parole più chiare il messaggio della uguale dignità di ogni persona, di ogni uomo e di ogni donna.
Poi rivolgendosi a tutti i presenti alla scena lo stesso Pietro continua:”Sto rendendomi conto che Dio non fa differenze. Ogni persona che lo teme e pratica la giustizia, non importa a quale popolo appartenga, gli è gradita”. Ci viene così mandato un secondo messaggio, anche questo di assoluta attualità. Se gli uomini continuano a tracciare barriere, a scavare fossati e a fare differenze, Dio non è così. Egli è aperto verso tutti e ama tutti. Certo chiede che sia praticata la giustizia e questo non è certamente cosa banale, ma fondamentale.
Il terzo messaggio consiste nell’invito a guardare in profondità dentro gli avvenimenti. Non è facile ma lo sforzo dobbiamo fare. “Chi può impedire che vengano battezzati quelli che hanno ricevuto lo Spirito Santo?”, chiede il primo degli Apostoli a chi si manifesta dubbioso. Anche noi ci rendiamo conto che in moltissime circostanze godiamo di ampi spazi di libertà e possiamo prendere l’iniziativa. Ma come muoverci? Solo dopo aver cercato di intuire dove i segni dell’azione del Signore. Là dove sono tracce del suo passaggio, là dobbiamo incamminarci e proseguire.
Don Francesco
Il fondamento e la costruzione
29 Aprile 2012
Veniamo dalla settimana che ci ha visti celebrare, probabilmente in modi
diversi - lo scorso 25 aprile memoria dei giorni difficili e drammatici
della resistenza - l'unità della nazione e siamo alla vigilia del 1°
maggio, giorno nel quale faremo memoria del lungo percorso compiuto per
affermare i diritti dei lavoratori e delle tante battaglie affrontate in
nome della dignità delle persone, della giustizia sociale e della libertà
sia nel mondo del lavoro che nella società.
In questa domenica anche la Liturgia, nel modo che le è proprio, sembra
fare eco a questi grandi temi. Innanzitutto affianca al tema della
giustizia quello dell'amore, che ha la sua sorgente in Dio. "Rendete
grazie al Signore perché è buono, il suo amore è per sempre". Poi
richiama il principio del fondamento del tutto, rappresentato dalla
parola, dalla storia, dalla persona stessa di Gesù Cristo. Le basi per
ogni valida costruzione della vita personale, della famiglia e della
società fanno necessariamente riferimento a Lui. "La pietra scartata dai
costruttori è diventata pietra d'angolo.
In nessun altro c'è salvezza". Propone quindi con determinazione
l'obiettivo universale dell'unità, della convergenza in lui di tutta
l'operosità, di tutta la fatica degli uomini su questa terra.
"Diventeranno un solo gregge e un solo pastore". Addita infine la regola,
trascendente ma pienamente umana, del dono di sé. "Il mercenario fugge e
abbandona il campo, il buon pastore dà la vita per le sue pecore". Se
saremo capaci di entrare in questa logica cristiana, guarderemo agli
altri come a dei fratelli:"fin d'ora siamo figli di Dio" e ci sentiremo
uniti in cammino verso l'eternità, quando "lo vedremo come egli è".
Don Francesco
Significato religioso e civile
24 Aprile 2012
Il 25 aprile è diventata per l’Italia data storica, a memoria della fine della seconda guerra mondiale e della conseguente liberazione. Nel frattempo sono trascorsi ben sessantasette anni, tanta acqua è passata sotto il ponte e non mancano coloro che a buon diritto riconoscono i limiti di quell’evento per il tardivo risveglio di un popolo, per il rapido cambio di casacca di tante persone, per le violenze spesso non giustificate, per l’interpretazione discutibile dell’evento. La ricorrenza però assume grande valore come monito e come simbolo. Monito perché invita a considerare che quanto si costruisce di bello e di positivo, in questo caso con il difficile e lento ma irrinunciabile metodo democratico, può rapidamente crollare e dissolversi, quando venga meno la vigilanza e diminuiscano l’impegno e lo stile di servizio; simbolo perché un popolo riconosce la sua unità in una storia comune, nei valori fondamentali, nella decisione di intraprendere un nuovo cammino di solidarietà.
Il 25 aprile cade anche la festa dell’evangelista San Marco, patrono della nostra comunità parrocchiale. Gerusalemme, Antiochia, Roma, Alessandra d’Egitto e infine Venezia sono le città di riferimento della sua vicenda. A Gerusalemme è cresciuto e là , se proprio non ha incontrato direttamente il Cristo, almeno l’ha visto, come egli stesso scrive. Da Antiochia di Siria poi, città di confine oggi in Turchia, con S. Paolo e altri è partito per l’impresa missionaria. E’ arrivato anche a Roma - in quale anno non ci è dato sapere - per collaborare con San Pietro. Successivamente si è portato in Egitto per essere là tra i primi annunciatori di Gesù e diventare primo Vescovo della città di Alessandria. I Veneziani infine, volendo avere un grande santo protettore, hanno trasportato il corpo di S. Marco a Venezia e hanno contribuito a diffonderne il culto. San Marco occupa un posto straordinario per essere stato il primo ad avere l’idea di scrivere un libro - breve ma densissimo e che i moderni apprezzano moltissimo - chiamato “Vangelo”. Chi lo legge attentamente è invitato con discrezione a farsi attento ai discorsi che Gesù pronuncia e alle opere che compie per giungere nella fase conclusiva alla vera fede. IL lettore partecipe ripeterà le stesse parole del centurione: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.
Don Francesco
Credere e amare
14 Aprile 2012
L'apparizione di Gesù Risorto a Tommaso è la risposta evidente alla
provocazione con la quale l'apostolo ha affermato:"Se non vedo nelle sue
mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e
non metto la mia mano nel fianco, io non credo". Essa però non si conclude
mostrando l'apostolo che vede, tocca e quindi resta convinto della
risurrezione, ma facendoci vedere lo stesso Tommaso che, senza guardare e
senza toccare, si inginocchia davanti al Signore e gli dice:"Mio Signore e
mio Dio". Il desiderio di verificare dunque, perfettamente giustificato
dal punto di vista dell'esperienza comune e in qualche modo
indispensabile, non è sufficiente quando si tratta ella fede cristiana.
Esiste infatti un limite in basso ed è la nostra piccolezza e ne esiste un
altro in alto ed è la grandezza di Dio. L'oggetto del credere è
trascendente, supera le possibilità di verifica che sono a disposizione
dell'uomo e richiede dei percorsi del tutto personali e misteriosi. E
diventa illuminazione dall'alto. Per questo chiudendo la scena il Cristo
afferma che sono "beati quelli che non hanno visto e hanno creduto".
Il discorso sul credere in Cristo poi, se debitamente approfondito, non
avrebbe bisogno di aggiunte perché la fede apre per se stessa alla
dimensione totale dell'esistenza. Ma la liturgia, e con essa la Chiesa,
per evitare che cadiamo in equivoci, sente quasi la necessità di
aggiungere che non c'è fede senza amore, non c'è cristianesimo là dove
mancano giustizia e carità. Di conseguenza nella prima lettura troviamo
scritto che "la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva
un cuor solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello
che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune". Nella seconda lettura
invece leggiamo che "la vera fede che vince" è quella che porta ad amare
Dio Padre, Gesù Cristo Figlio di Dio e tutti gli uomini, che sono "i
figli di Dio".
Don Francesco
BUONA PASQUA
05 Aprile 2012
Don Francesco
Come il chicco di grano...
24 Marzo 2012
Invocando ogni dono dal cielo - a ciascuno secondo le proprie necessità
spirituali - suggeriamo di compiere il percorso di vita che per questi
giorni è indicato dalla lettura del capitolo XII del Vangelo secondo
Giovanni: guardare il Gesù e lasciarsi attrarre; contemplarlo dentro di
noi, nella mente e nel cuore, attraverso gli occhi della fede; continuare
a rimanere con lui, anche quando è difficile; accogliere l'invito ad
essere i discepoli che sanno stare dove sta lui.
La crisi economica che attraversiamo è causa di tante situazioni di
disagio per le famiglie e per le persone e allora cerchiamo tutti di fare
la nostra parte sentendoci impegnati in una reazione costruttiva e
responsabile. Le difficoltà non siano moltiplicate da atteggiamenti di
indifferenza, di rinuncia, di egoismo. Non sopravvenga la crisi più
pericolosa rappresentata dalla perdita della fiducia, dal venir meno della
speranza e dalla rinuncia. Gesù, come già faceva un tempo, si avvicini a
noi, ci tocchi con la sua mano e ripeta:"Alzatevi e non temete".
Don Francesco
I laici cristiani nella società e nella chiesa
18 Marzo 2012
L'attenta considerazione delle domande, che sono poste nelle nove schede
del questionario, dagli uffici competenti della Curia diocesana messo a
disposizione delle parrocchie, delle associazioni ecclesiali e dei singoli
fedeli, fa risaltare che per porre rimedio alle numerose situazioni
determinate dalla costante diminuzione dei sacerdoti diventano urgenti non
solo lo sforzo per una riorganizzazione pastorale sul territorio ma anche
e soprattutto il ricorso alla collaborazione dei laici. Parlando di laici
naturalmente intendiamo riferirci ai cristiani battezzati, che non hanno
ricevuto il Sacramento dell'Ordine né sono consacrati per la professione
religiosa.
A prima vista la cosa potrebbe far pensare che si tratta di una soluzione
logica, dal momento che in ogni squadra quando vengono meno i titolari si
fa ricorso alle riserve. Ma le cose non stanno precisamente così ed ecco
allora affacciarsi la necessità di fare alcune considerazioni
sull'argomento, tenendo sullo sfondo la più antica tradizione della
Chiesa, che vedeva tutto il popolo cristiano impegnato nella missione e
facendo riferimento alle fondamentali indicazioni presenti nelle
Scritture, ultimamente messe a fuoco e ripresentate nel Concilio Ecumenico
Vaticano II. Il discorso potrebbe essere molto lungo, ma i principi da
richiamare fondamentalmente si possono ricondurre a quattro.
Il primo si riferisce alla "vera uguaglianza riguardo alla dignità". Nella
comunità cristiana non esistono fedeli di prima o di seconda categoria. La
costituzione "Lumen Gentium" (LG,32), documento base del Concilio
Ecumenico Vaticano II, ne dà testimonianza quando dichiara:"Nessuna
ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa. Comune è la dignità dei membri per
la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale,
comune la vocazione alla perfezione.tutti sono chiamati alla santità".
Dunque sacerdoti religiosi e laici sono allo stesso titolo membri
dell'unico popolo di Dio.
Il secondo principio riguarda la responsabilità di tutti i fedeli in
ordine all'adempimento della missione che Gesù ha affidato alla Chiesa.
"I sacri pastori sanno di non essere stati istituiti da Cristo per
assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa
verso il mondo" (LG,30). I laici dunque non per delega ma per volontà di
Gesù stesso sono chiamati a farsi protagonisti dell'apostolato. "Grava
quindi anche su di loro il glorioso peso di lavorare, perché il divino
disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i
tempi e di tutta la terra"(LG,33).
Il terzo principio dice che se il ruolo dei sacerdoti nella Chiesa è
chiaramente definito, se anche la presenza dei Religiosi assume
caratterizzazioni altrettanto ben specificate dentro la molteplice azione
apostolica della Chiesa, i laici devono cercare e trovare gli spazi
dell'impegno apostolico concreto dando la loro piena disponibilità e
tenendosi in contatto vivo e in comunione con i pastori delle comunità.
Anche per loro esiste una vocazione nel senso pieno del termine, anche per
loro si deve parlare di servizi e di ministeri, che però vengono affidati
ed esercitati nella comunità, secondo diversità di situazioni e
caratteristiche specifiche di tempo e di luogo.
Il quarto principio infine dice che nella vita della Chiesa "comunione e
missione" rappresentano un binomio essenziale, dove missione non significa
soltanto partire per luoghi lontani, lasciare la propria terra per portare
aiuto ad altre comunità ecclesiali o per contribuire alla nascita di
nuove comunità ecclesiali. Missione significa anche restare nel proprio
territorio per operare sui vari campi della vita organizzata, dal momento
che la missione del laico deve svolgersi prima di tutto nella famiglia,
nel lavoro, nella professione, nel tempo libero, nell'impegno sociale e
politico, nei luoghi dove si fa comunicazione e si crea cultura. "I laici
sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei
luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della
terra se non per mezzo loro"(33). "Essi devono contribuire, quasi
dall'interno e a modo di fermento alla santificazione del mondo"(31).
Concludendo vale la pena fare un breve cenno a quello che dovrebbe essere
lo stile laicale di presenza e di testimonianza. Quando si parla dello
stare dentro le situazioni dell'esperienza quotidiana insieme agli altri,
lo stile che deve caratterizzare l'impegno del cristiano deve essere, per
quanto possibile, quello dell'incontro e del dialogo, seguendo il bel
suggerimento di S. Pietro:"Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi
domandi ragione della speranza che è in voi". In rapporto invece allo
spirito che deve animare il laico impegnato ad operare ad un tempo sia
nella comunità ecclesiale che in quella civile valgono le parole di S.
Paolo nella lettera ai Romani:"Vi esorto, fratelli, ad offrire voi stessi
come sacrificio santo, gradito a Dio. E' questo il vero culto spirituale".
Don Francesco
Osserva i Comandamenti
10 Marzo 2012
"A te la lode e la gloria nei secoli": in queste parole o altre simili la
Scrittura raccoglie il senso delle voci di fede, di ringraziamento e di
amore che dalla terra s'innalzano al cielo. Ed ecco che proprio la
preghiera e la lode di Dio diventano anche il tema della Liturgia della
terza domenica di Quaresima. Gesù arriva a Gerusalemme, si porta al Tempio
e vi nota un incessante via vai di trafficanti, di persone che acquistano
e vendono. Allora reagisce e alza la voce:"Non potete fare della Casa del
Padre mio un mercato". Quindi interviene con energia e caccia tutti fuori.
Il suo intento è volto ad affermare in che cosa consistono il culto
autentico, la vera devozione, la preghiera della fede. "Dio si deve
adorare" - così avrebbe poi detto alla donna Samaritana - "in spirito e
verità", cioè nell'intimo del cuore, nel dialogo del rapporto personale,
nel silenzio dell'anima, nella prontezza del servire. Gesù stesso infatti
al mattino presto si alzava, si ritirava in solitudine e là pregava a
ungo, divenendo in tal modo esempio per tutti gli oranti, ma poi nella
vita di ogni giorno si manifestava l'immagine perfetta del Figlio,
quando la preghiera "sia fatta la tua volontà" diventava "ecco io vengo a
fare la tua volontà" e tutta la sua esistenza si trasformava in una
offerta viva al Padre. Questo messaggio emerge anche dalla pagina dei
dieci comandamenti, di cui si parla nella prima lettura. "Se daremo
ascolto alla voce divina e custodiremo la sua alleanza, noi saremo per il
Signore una proprietà particolare tra tutti i popoli. Diventeremo un regno
di sacerdoti e una nazione santa". Nell'obbedienza alla legge divina
realizzeremo l'amore, che fa vivere nello stesso tempo chi ama e dona la
sua vita e coloro che sono oggetto d'amore. "Fà questo e vivrai". Davvero
"pieno compimento della legge è l'amore."
Don Francesco
Con Gesù ricevere e donare tutto
05 Marzo 2012
La liturgia della domenica seconda di Quaresima mette in rapporto due avvenimenti delle Scritture a prima vista molto diversi ma in realtà convergenti. “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, và nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”, leggiamo nel libro della Genesi. E poi vediamo mettersi in viaggio una piccola carovana e la possiamo seguire lungo l’erta del monte fino all’ultimo tratto di cammino, che è percorso da due sole persone in un silenzio quasi da incubo. All’improvviso il ragazzo si rivolge al padre Abramo e chiede: “ Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto”. La vittima predestinata era il figlio, ma Dio per la circostanza provvide diversamente, ma intanto era lanciato un messaggio profetico, che lasciava presagire il sacrificio della salvezza.
Ed avviene che Gesù, mentre è in viaggio verso Gerusalemme – leggiamo nel Vangelo secondo Marco – “comincia a insegnare che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”. La prospettiva che si para innanzi, attesa la serietà con la quale Gesù si esprime, appare sconvolgente, ammettere una simile eventualità è impossibile sia per Pietro che per gli altri discepoli. Allora gesù torna sull’argomento usando un’altra strategia, in modo nuovo e sorprendente, affinché vedano e comprendano. “Sei giorni dopo prende con sé Pietro Giacomo e Giovanni, li conduce su un alto monte, in disparte, e si trasfigura davanti a loro”. Si tratta di un evento di rivelazione, che colpisce fortemente i tre apostoli e conclude con l’intervento di una voce - quella del Padre del cielo - che proclama: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”.
Dobbiamo ascoltare il Cristo sia quando ci rivolge parole di consolazione, sia quando ci parla della sua passione, crocifissione, morte e risurrezione, sia quando ci invita a seguirlo portando la nostra croce Quello che non si è realizzato nella vicenda di Abramo e di Isacco si è compiuto nella storia di Gesù. Dio per la nostra salvezza non ha risparmiato suo Figlio. Il Figlio ha donato se stesso e ci ha insegnato la strada della vita e dell’amore.
Don Francesco
Giornata della Caritas parrocchiale
E' la prima domenica di Quaresima.
26 Febbraio 2012
L'immagine di Gesù che nel deserto supera ogni tentazione, ci vuole
convincere che la sfida della fedeltà dentro ogni condizione di vita ci
deve coinvolgere in tutte le scelte che facciamo. Si tratti della fedeltà
a Dio, ad immagine del quale e per il quale siamo stati creati; della
fedeltà alla nostra dignità di figli di Dio nel cui disegno siamo chiamati
ad essere santi e immacolati; si tratti infine della fedeltà alle persone,
a quelli che amiamo e ci amano, ai vicini come ai lontani.
In questo spirito oggi celebriamo una giornata speciale, la "giornata
della Caritas parrocchiale", col desiderio di farci più attenti e
sensibili a quelle, tra le persone che vivono accanto a noi, che sono in
difficoltà, sono attraversate da varie prove o sono nella condizione di
bisogno. Dietro le belle facciate infatti si nascondono tante situazioni
di dolore, di disagio e di mancanza di quanto è strettamente necessario
per vivere.
Caritas è la parola che dice amore concreto, vicinanza, partecipazione,
impegno ad aiutare per quel poco che riusciamo a fare, per tutto quello
che siamo in grado di fare; la qualifica "parrocchiale" vuol dire che
anche la parrocchia, come ciascuno di noi e come ogni famiglia, non deve
pensare soltanto a sé stessa, ai propri bisogni ma deve aprirsi verso
tutti; Caritas parrocchiale vuol dire che insieme ci prendiamo cura dei
poveri che sono in mezzo a noi.
Il primo passo da fare è quello della simpatia e della benevolenza verso
tutti; il secondo è quello della preghiera come certamente avviene nella
celebrazione di questa Santa Messa; il terzo è quello dell'aiuto
economico.
Guardiamo quindi a Gesù e cerchiamo di fare come lui: ". da ricco che era
si è fatto povero, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà".
Don Francesco
Portavano il malato davanti a Gesù
19 Febbraio 2012
Per la liturgia non esiste un qualcosa che si possa paragonare al
Carnevale. Essa, com'è logico, conosce tutti i tempi e i ritmi della vita
e quindi mette in conto e sottolinea il tempo difficile, del dolore o
della prova, poi il tempo della letizia, della gioia e della serenità e
infine il tempo ordinario, feriale, quello nel quale abbiamo a che fare
con la varietà delle situazioni e degli impegni rispetto ai quali i
sentimenti dell'animo reagiscono e la volontà interviene. Pertanto la
Domenica settima, ben lungi dall'immersione nei colori e nei clamori delle
musiche e degli shows di S. Remo o nei rumori delle sfilate in maschera
nelle varie città ci si fa presente con un fatto esemplare e con un
richiamo. L'esempio è dato da quattro portatori di barella, antichi
precursori della Croce Rossa o Croce Bianca, intenti a portare il malato
davanti al medico dei medici, Cristo in persona. Raggiungeranno lo scopo
desiderato, la guarigione del malato, ma anche qualcosa di più. "Figlio,
ti sono perdonati i peccati". A dimostrazione che quando si persegue
direttamente e disinteressatamente il bene, si ottengono spesso risultati
che si rivelano più grandi del previsto. C'è poi un forte richiamo di
carattere generale che va a toccare atteggiamenti, anche oggi molto
diffusi, di ambiguità e di falsità sotto molti aspetti nel comportamento.
"La nostra parola verso di voi - scrive San Paolo - non è stata nello
stesso tempo "sì e no". Il Figlio di Dio Gesù Cristo non fù "Sì e no" ma
in lui vi fu sempre il "Sì", così noi. I cristiani sono quindi, a ben
vedere, inclusi in una logica, quella del sì, dell'adesione senza
ripensamenti e della coerenza portata avanti anche in mezzo a grandi
difficoltà. Questo sì è destinato a diventare l'Amen della Chiesa, che lo
pronuncia nel momento della preghiera e soprattutto lo rende concreto nel
momento della testimonianza.
Don Francesco
La prese per mano
05 Febbraio 2012
Sulla via della preparazione della Giornata mondiale del malato, che sarà
sabato 11 febbraio p.v.
la liturgia della quinta domenica del tempo ordinario ci offre nelle
letture due momenti che ci dispongono alla riflessione e alla preghiera.
Nel primo testo, nel lamento di Giobbe, ritroviamo l'eco della sofferenza
umana, così vasta e profonda, universale. Di essa la medicina può scoprire
le cause materiali, ad essa può portare dei rimedi per qualche tempo, ma
poi essa ritorna e alla fine vince. Eccheggia il lamento come una supplica
o una protesta di fronte ad una esperienza di dolore per la quale
umanamente non si trovano giustificazioni. "Lunga è la notte, stanco mi
rigiro fino all'alba, i giorni svaniscono senza un filo di speranza, il
mio occhio non rivedrà più il bene". Nel secondo testo, in forma che
sembra lieve ma che è tutt'altro che superficiale, appare un altro segno,
il Cristo che cammina per le strade, entra nelle case, va proprio là
dove sono i malati e i sofferenti e sceglie di stare specialmente accanto
a loro. "Portavano a lui i malati e gli indemoniati e lui li guariva".
Quale messaggio porta questa scelta del Signore di stare accanto a chi
soffre? Sembra suggerire che certo esiste la malattia, esiste la
sofferenza per la malattia ma esiste ed è grande anche il dominio del male
e ancora più grande della sofferenza causata dalle malattie è quella
causata dal male che è nel mondo. Molti soffrono e chi soffre si sente
solo tante volte, non deve essere lasciato solo e comunque il Cristo gli
resta sempre vicino e non lo dimentica. Il malato è tentato di perdere la
speranza, ma la fede nel Signore recupera la speranza perché credere e
sperare sono tutt'uno. "Alzati e cammina", ripete ancora il Signore come
faceva un tempo, anche se ora lo fa sottovoce. La sua parola risponde
all'invocazione dell'afflitto, risuona nel suo cuore e lo apre alla
speranza che non delude.
Don Francesco
Interpellati dalla povertà
30 Gennaio 2012
Parlare di Caritas significa parlare dei poveri “che sono in mezzo a voi”. A riguardo di essi nelle Sacre Scritture abbondano i riferimenti e gli insegnamenti, due dei quali trovo particolarmente pertinenti. Il primo è rappresentato da una affermazione di Gesù. Vedendo la donna spargere l’unguento prezioso sul capo del Signore, alcuni tra i presenti ed in particolare Giuda Iscariota fanno gli indignati e protestano: “Perché questo spreco? Si poteva vendere il profumo per più di trecento denari e darli ai poveri”. La replica di Gesù è calma e precisa:”I poveri li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete”. (Mc.14) Con chiara decisione Gesù toglie spazio agli equivoci o ai falsi alibi. Chi ha veramente a cuore la situazione dei poveri non stia ad osservare quello che fanno gli altri, ma guardi a se stesso e si metta in azione. C’è tanto da fare, non mancano mai occasioni per compiere gesti di giustizia e di amore. Nelle strade e nelle case della città ci imbatteremo sempre nei poveri e quindi diamoci da fare. Il mondo del bisogno è incombente e circostanze che richiedono concreto interesse e intelligente intervento si presentano di continuo. Si tratta quindi di prendere parte, di superare l’indifferenza, di andare incontro alle persone in difficoltà e di fare per loro tutto quanto siamo in grado di fare.
Il secondo riferimento biblico serve a completare questo discorso. Poiché Gesù ha dato l’esempio e indicato con chiarezza la linea da seguire, i suoi discepoli - quelli veri- prendono sul serio il suo comando. San Paolo nella lettera ai Galati (2,10) racconta del suo viaggio a Gerusalemme per un confronto urgente e necessario con gli apostoli sulla questione dei convertiti dal paganesimo. Ma non può non annotare quello che – una volta risolte tutte le questioni – gli viene detto al momento del commiato. “Pietro Giacomo e Giovanni, ritenuti le colonne, - scrive - diedero a me e a Barnaba la mano destra in segno di comunione. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare”.
Da queste premesse parte tutta la storia della carità della Chiesa, con infinite variazioni di iniziative attuate e di opere compiute, in ogni tempo città e luogo. Di esse delle quali è parte, piccola ma significativa, la secolare storia locale della carità nella nostra parrocchia di S. Marco. Francesco Trovati in brevi note ne evidenzia alcuni aspetti dell’ultimo secolo e dell’attualità.
A quella sorgente vuole continuare ad attingere anche l’attuale Caritas parrocchiale, che da un anno è stata rifondata. Sua ambizione oggi è quella di agire come espressione di una comunità cristiana attenta alle situazioni di vita, accogliente verso le persone, attiva nel ricercare e trovare risposte ai bisogni. Vale la pena infatti sottolineare questa cosa. Il precetto evangelico si rivolge al singolo cristiano, alla sua coscienza e lo chiama all’azione e quindi ciascuno è chiamato a dare una risposta personale. Tuttavia siamo uniti e insieme formiamo il Corpo di Cristo, cioè quella Chiesa che deve manifestarsi come il buon samaritano di ogni prossimo che incontra. La Caritas agisce in nome della Parrocchia e pertanto la sentiamo nostra e pertanto ad essa non lasciamo mancare la nostra collaborazione
Don Francesco
Uniti perché veri discepoli
23 Gennaio 2012
Stiamo vivendo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, un valore del quale avvertiamo l’importanza e l’attualità. Nelle nostre strade spesso incontriamo cristiani di altre confessioni e non di rado c’imbattiamo con missionari non in sintonia con le nostre posizioni.
Vediamo luoghi di culto diversi dai nostri non solo quando ci portiamo all’estero ma ormai anche vicino alle nostre case. E scopriamo l’esistenza di diversità che si affermano ma non sono disposte a dialogare, non cercano vie di ricomposizione, non si aprono alla collaborazione. I cristiani sono tanti ma nello stesso tempo tanti sembrano essere i cristianesimi non in sintonia tra di loro. Eppure il Signore ha insegnato che ci deve essere “un solo ovile e un solo pastore” e ha pregato “affinché tutti fossero una cosa sola”. Scoprire quali siano i rimedi efficaci e quale sia il modo per metterli in atto non è compito facile. Può essere utile allora continuare ad accogliere con animo ben disposto le suggestioni che ci vengono dalla Liturgia della domenica. Bisogna cominciare, come avvenne per i cittadini di Ninive, dalla conversione personale. Per noi consisterà certo in un cambiamento della condotta morale, ma a partire dal rinnovato incontro con la persona di Gesù e dall’impegno nella sequela di lui. Nello stesso tempo, mentre attendiamo al compimento dei nostri doveri, così scrive S. Paolo, concentriamoci sulle cose essenziali. Non perdiamo mai di vista la meta verso la quale siamo in cammino. C’è infatti troppa dispersione di interessi, di energie, di affetti, quando invece sappiamo che “il tempo si è fatto breve e passa velocemente la scena di questo mondo”. Infine ascoltiamo Gesù che ci chiede di condividere la sua stessa missione. E’ volta a portare ogni uomo alla salvezza. Se entreremo nella sua logica sentiremo l’esigenza di lasciare tutto e di dare tutto. Egli dice:”Vi farò pescatori di uomini”.
Don Francesco
Glorificate Dio con il vostro corpo
15 Gennaio 2012
"Sia che viviamo, sia che moriamo, noi apparteniamo al Signore". E' questa
una fondamentale affermazione di principio, che troviamo nella lettera ai
Romani. Espansione o applicazione di essa è un'altra affermazione che
leggiamo nella liturgia di questa domenica:"Non sapete che i vostri corpi
sono membra di Cristo?".
Segno della totale appartenenza a Dio dell'uomo sono le storie di
vocazione. Ci sono quelle esemplari, che si conoscono studiando le
vicende di personaggi straordinari, e quelle più semplici che raccontano
l'esperienza di tanti di noi, o forse di tutti. La vocazione succede o
nella forma di una ricerca interiore o di una illuminazione - interpretate
alla luce della parola di un consigliere spirituale e concluse con
l'identificazione della "voce" e con la risposta di piena disponibilità
dell' "eccomi". E' il caso riferito dal libro di Samuele. Oppure succede
nella forma di un avvicinamento diretto e di un incontro (per mezzo di una
persona amica?) con Cristo stesso. E' il caso che è toccato ai primi
discepoli: "Dove abiti?" - "Venite e vedrete". - "Rimasero con Lui".
Tutta la vita in tal modo si apre alla prospettiva della donazione e della
dedizione al Signore.
Segno e scoperta interiore del fatto che anche "il corpo è per il Signore"
è l'impegno per la purezza nel corpo e nell'anima. Non sarà facile anche
perché non sembra goda di molta approvazione nella cultura e nella
mentalità corrente. Ma forse è una scelta morale della quale il mondo
moderno ha particolare necessità. "Glorificate Dio con il vostro corpo".
Don Francesco
Temi dell'Epifania
05 Gennaio 2012
Tre temi si intrecciano nella celebrazione dell'Epifania.
C'è il tema dell'uomo che cerca: guidato da una stella simile a quella dei
Magi, da un barlume dentro il cuore oppure da una fiammella appena
percettibile ma accesa dentro le vicende della vita e della storia.
"L'uomo supera infinitamente l'uomo" - è stato scritto - perché, segnato
nel segreto da un marchio divino, è sempre alla ricerca di qualcosa di più
grande. Una anelito interiore, se appena lo assecondiamo, ci spinge oltre.
Siamo stati creati infatti per andare lontano, per salire in alto.
Un secondo tema è quello dell'uomo la cui ricerca si conclude con la
scoperta Dio. Finalmente egli arriva alla meta sospirata, incontra e
riconosce il Signore, lo adora e lo serve. La vicenda dei Magi infatti
tocca il suo vertice quando i sapienti venuti dall'Oriente, "entrano nella
casa, vedono il bambino e Maria sua madre, si prostrano e lo adorano". La
stessa cosa aveva contemplato in visione il profeta Isaia. Il lungo
cammino dei popoli verso la città santa Gerusalemme sarebbe giunto a
compimento:"Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra".
Il terzo tema è rappresentato dal messaggio del Natale che è indirizzato
a ciascuno e a tutti. Leggiamo nel testo proposto dalla Liturgia che il
mistero, troppo a lungo ignorato dalle precedenti generazioni, è stato
finalmente messo in luce. Una legittima curiosità ci porterebbe a
investigare di che cosa si tratti ma ecco che la risposta arriva
immediata e sorprendente. Si tratta dell'unità della famiglia umana, una
verità di buon senso eppure così remota, perché ben lungi dall'essere in
concreto percepita e attuata. Tutti gli esseri umani senza eccezione e
tutti i popoli sono chiamati "in Cristo Gesù a condividere la stessa
eredità, ad essere partecipi della stessa promessa, a formare lo stesso
corpo". Il segreto svelato riguarda dunque un compito troppe volte
dimenticato e ostacolato. L'umanità intera è chiamata all'unità nella fede
e nell'amore che deriva da Cristo. Ben venga la mutua comprensione
attraverso la conoscenza dei linguaggi e l'incontro delle culture, si
moltiplichino i contatti attraverso i viaggi e le migrazioni, si
sviluppino i legami di carattere economico. Ma si realizzi innanzitutto la
profezia dell'unità del genere umano secondo il disegno di Dio. Gli
uomini riconoscano la comune origine dal Padre e il comune destino alla
vita eterna, ma soprattutto compiano nella storia il cammino di
costruzione dell' "unico corpo in Cristo".
E' l'impresa esaltante che si apre per ogni generazione in ogni tempo.
Don Francesco
Secondo la tua parola.
In questi giorni di immediata prossimità al Natale che cosa suggerisce la Liturgia?
18 Dicembre 2011
In primo luogo evocando l'oracolo profetico - che mette in scena la figura
storica e altamente simbolica del re Davide nel momento nel quale è
preoccupato di costruire qualcosa di importante, il tempio, per il Signore
- ci ricorda che Dio viene sempre prima. Egli elargisce per primo,
anticipa nel dono l'uomo. "Non Davide costruirà una casa per il Signore,
ma il Signore stesso costruirà la casa di Davide, una Casa e un Regno che
avranno durata eterna". In un secondo momento la Liturgia citando le
parole conclusive della grande lettera di S. Paolo ai Romani ci invita a
guardare attentamente l'avvenimento centrale della storia ma anche i fatti
della nostra vita per scorgervi all'opera la mano misteriosa e salvatrice
di Dio: "A Dio che è l'unico sapiente la gloria nei secoli. Amen".
Su queste premesse la comunità cristiana è sollecitata a continuare la
meditazione del mistero dell'Annunciazione che è lo stesso evento
dell'Incarnazione. "Come avverrà questo"? Come è possibile che il Figlio
di Dio diventi uomo? Nessuno sa rispondere, ma è questo il punto d'arrivo
di quella divina Rivelazione che avrà il suo altrettanto incomprensibile
compimento nella beata Passione Morte e Risurrezione di Gesù. Disse dunque
l'Angelo a Maria:"Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra". "E il Verbo si fede carne e
venne ad abitare in mezzo a noi".
In modo specifico infine la Liturgia vorrebbe che la nostra
contemplazione, la nostra preghiera si concentrasse sulla Vergine Maria,
eletta a diventare Madre e sulla sua totale disponibilità: "Io sono la
serva del Signore - disse- avvenga per me secondo la tua parola".
Al sì di Maria dunque si unisca il nostro sì generoso e fedele.
Don Francesco
Inizia la terza settimana di Avvento. Vagliate ogni cosa
10 Dicembre 2011
Inizia la terza settimana di Avvento, il tempo privilegiato dell'attesa e
dell'interiorità. Silenzio, ascolto, invocazione, sguardo verso l'alto,
mani tese ad accogliere il dono. La festa di Maria Immacolata ci ha fatto
intravedere in questi giorni un segno particolare perché ha mostrato
associati nello stessa festa e intrecciati la gioia del dono e lo
splendore della bellezza. Il dono divino che noi attendiamo è Cristo
Signore, ma prima di lui arriva la Madre, anch'ella dono fatto all'intera
umanità. Verità profonda e visione consolante che tuttavia solo
lentamente si fanno strada nel cuore. Ogni affermazione affrettata può
correre il rischio dell'enfasi, perché il mistero resta nascosto e arduo
risulta l'accesso ad esso. "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete".
Quale sarà allora l'atteggiamento consigliato? Lo suggeriva l'apostolo
Paolo ai cristiani di Salonicco in quella che è la prima lettera da lui
scritta. "Pregate ininterrottamente, rendete grazie, non spegnete lo
Spirito, vagliate ogni cosa, tenete ciò che è buono". Come non approvare
questo saggio consiglio che ci invita a star dentro i problemi della vita
e della società? Evidentemente con l'attenzione non di chi vuole cogliere
delle opportunità che tornano a vantaggio personale, ma di chi desidera
capire dove conduce lo Spirito al fine di essere strumento della sua
azione volta al bene e alla salvezza. Tempo burrascoso è questo tempo,
tempo di scoramento e di sfiducia, nel quale la fanno letteralmente da
padroni dei predoni dai volti mascherati. Chi sono questi principi oscuri
e rapaci che occupano la scena di questo mondo? C'è davvero da temere.
Eppure il profeta oggi, quindi anche per noi, ripete:"Il Signore Dio farà
germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti".
Don Francesco
Aspettando la venuta del Signore
27 novembre 2011
Si apre per i cristiani tempo liturgico di Avvento, che raccomanda i
valori dell'attesa, della preparazione, dell'incontro. Si tratta appunto
di andare incontro al Signore nostro Gesù Cristo che viene. Le letture
bibliche della Domenica ci aiutano ad entrare in sintonia con lo spirito
che la Chiesa suggerisce per questo tempo. Dio è lontano o è vicino? La
risposta del profeta Isaia è chiara. Si può dire che Dio in primo luogo è
lontano, perché l'uomo si è allontanato. Non ne ha voluto sapere, ha
voluto fare da sé, è stato ribelle, ha messo Dio alla porta, ha peccato.
Le conseguenze non hanno tardato a manifestarsi. "Dio ha nascosto il suo
volto e noi siamo caduti in balia dell'iniquità; ci siamo ridotti come
panni sudici; il nostro cuore è diventato duro e incapace di amare; come
foglie secche siamo portati via dal vento..". Tutto sarebbe andato perduto
se ad un certo punto non avesse avuto luogo una presa di coscienza, non
ci fosse stata la riscoperta di Dio e il cuore non si fosse aperto
all'invocazione. "Eppure tu, Signore, tu sei nostro Padre. ritorna per
amore del tuo popolo. se tu squarciassi i cieli e scendessi.".
Si può dire in un secondo momento che Dio è lontano anche per la semplice
e fondamentale ragione che Egli è alla fine, verrà incontro a noi al
termine del cammino umano, al confine della storia. E' la meta della
nostra vita. Verso di essa stiamo dirigendo i nostri passi. Lo possiamo
fare con superficialità, quasi senza renderci conto della serietà della
posta in gioco e per questo il Signore ammonisce:"Fate in modo che
giungendo non vi trovi addormentati". Lo possiamo fare al contrario con
scelta consapevole e con impegno avvertito. Allora, come scrive S. Paolo,
saremo "saldi nella fede e irreprensibili nel giorno del Signore nostro
Gesù Cristo".
Ma il Signore è anche vicino. Sta alla porta della nostra anima e bussa.
E' esperienza di ogni giorno e di ogni momento. Meritano di essere
ricordate e meditate le parole che concludono la seconda lettura. "Dio ci
chiama alla comunione con il Signore nostro Gesù Cristo". Da questo
profondo rapporto dipende la vita spirituale, la vera vita.
Don Francesco
Colui che solo è potente
18 novembre 2011
Si parla in questi giorni dei poteri, dei poteri forti che sono in grado
di condizionare l'economia e la politica degli Stati e che, per
conseguenza, si rendono responsabili di decisioni che vanno a riversare
pesi e sofferenze sulle società, sulle famiglie, sui membri più deboli
delle comunità. Dietro questi poteri, per quanto occulti essi siano, ci
stanno degli individui con tanto di nome e di cognome, per i quali si
realizzerà la parola profetica secondo la quale "ogni Principato, ogni
Potenza e Forza saranno ridotti al nulla". "Quando il Figlio dell'uomo
verrà nella sua gloria porrà tutti i nemici sotto i suoi piedi" e allora
tutti, proprio tutti, piccoli e grandi, deboli e forti saranno convocati
per il giudizio finale. Il vero titolare del Potere - "Colui che era che è
e che viene", "il Vivente", "Colui al quale appartengono il tempo e i
secoli", Cristo Signore - istituirà un processo ed emetterà il giudizio
destinato a segnare gli ultimi destini. Ma su che cosa interrogherà
l'inappellabile Giudice divino? Vale la pena riportare al riguardo le
chiare parole che leggiamo nel Vangelo secondo Matteo.
Il giudice dirà a quelli che sono alla sua destra:"Ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi".Tutto quello che avete
fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Il giudice dirà invece a quelli che sono alla sua sinistra:"Ho avuto fame
e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da
bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito,
malato e in carcere e non mi avete visitato.Tutto quello che non avete
fatto a uno solo di questi piccoli, non l'avete fatto a me".
E' stato scritto e a buon diritto spesso viene ripetuto:"Saremo giudicati
sull'amore".
Don Francesco
Voi siete figli della luce
11 novembre 2011
La riforma diocesana dell’“Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi” (ICFR), per la quale i candidati sono ammessi ai Sacramenti della Cresima e della Prima Comunione a conclusione di un cammino di preparazione quinquennale - a sua volta coronato da un sesto anno detto “mistagogico” cioè di accompagnamento dentro il Mistero - ha comportato l’anticipo dell’ ammissione dei ragazzi al Sacramento della Cresima, che da alcuni anni veniva fatto coincidere con la conclusione della Scuola dell’obbligo. Per questa ragione domenica 13 novembre la Parrocchia celebra il grande Sacramento della Confermazione di 50 ragazzi, che attualmente per lo più frequentano la classe seconda Media. Presiederà la solenne cerimonia Mons. Franco Bertoni, abate emerito di Montichiari. Le Parole che si leggono nella Liturgia della Domenica XXXIII contengono un messaggio molto forte, che bene si adatta tanto ai giovani che agli adulti. Nella parabola dei talenti infatti si evidenzia con chiarezza l’impegno di persone che si sentono attive sugli scenari del mondo per incarico del Signore.. “Vieni, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco ti darò potere su molto”. Si tratta dell’elogio delle persone che rifuggono dall’inerzia e non si tirano indietro davanti alle varie responsabilità, che si riassumono nell’unica di sentirsi impegnati a costruire qualcosa di bello per mandato di Dio e per il bene dell’umanità. Anche le donne ricevono in questa circostanza nel libro dei Proverbi una lode per la loro insostituibile presenza attiva. “ La donna forte…lavora volentieri con le mani… apre le sue palme al misero. ..Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare”.
Uomo e donna devono sempre essere attivi, ma l’energia del bene deriva dall’alto. Il dono dello Spirito Santo, non direttamente evocato, è racchiuso in una espressione molto bella, che l’apostolo Paolo evoca nella lettera ai Filippesi. ”Voi, fratelli, siete tutti figli della luce e figli del giorno”. I cristiani vivono e si comportano come persone illuminati da una luce. “Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce”.
Don Francesco
Non sapete né il giorno né l’ora
06 novembre 2011
L’anno ecclesiastico, quello ritmato dalle principali ricorrenze e festività cristiane, si avvia verso il suo termine e pertanto la Liturgia, in continuità con lo spirito di meditazione e di preghiera che ha caratterizzato la festa di Tutti i Santi e la memoria dei Defunti, propone il tema delle cose ultime: la realtà della morte come conclusione definitiva della storia terrena delle persone; l’evento del giudizio universale come atto finale della storia, del tempo e del mondo.
I sacri testi proposti nella Domenica XXXII esordiscono con una considerazione sulla sapienza. La Sapienza eterna è Dio stesso, il quale non cessa di far brillare la sua luce nella coscienza individuale, nello susseguirsi degli eventi, nella parola delle Scritture antiche e nel Vangelo. Sapienza è anche il dono divino per il quale l’uomo impara a vivere e vive guardando in alto ed ecco la fede in Dio e nel suo Cristo; guardandosi intorno ed ecco l’amore verso il prossimo che si esprime in tanti atti di giustizia di solidarietà e di pace; guardando lontano ed ecco la speranza che sostiene i passi del cammino verso la meta.
La speranza cristiana è però il messaggio specifico di questa domenica. Guardate avanti e “state dunque svegli, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Non sono mai mancati, e neppure oggi mancano, coloro che pretendono di cconoscere qualcosa di preciso sul momento della fine. Chi lo fa o è un illuso o un impostore che trae in inganno gli ingenui. Non c’è nulla di eterno all’infuori del Creatore e quindi verrà certamente la fine per i singoli individui e per il mondo. Nessuno però sarà mai in grado di sapere in anticipo il momento preciso. Il come e il quando infatti sono nelle mani di Dio, il quale nella sua bontà, per mezzo di Gesù e dei profeti, ci ha rivelato l’essenziale. Ci ha raccomandato di tenere sempre accesa la nostra fiamma, cioè di essere perseveranti nel cammino e di non venire meno nel servizio. Ci ha assicurato la risurrezione del corpo e la vita immortale riservata ai servi fedeli. E’ lui stesso la meta e di questo lo ringraziamo. “E così saremo sempre col Signore”.
Don Francesco
Uno solo è il Padre e voi siete tutti fratelli
29 ottobre 2011
Alla luce del Vangelo della Domenica XXXI possiamo leggere i due fatti diversi che
hanno caratterizzato la settimana che si conclude. Cominciamo con l'incontro
mondiale dei rappresentanti religiosi con il Papa Benedetto XVI e lo mettiamo in
rapporto alla c hiara affermazione di Gesù secondo la quale "uno solo Padre è il
Padre vostro, quello del cielo e voi siete tutti fratelli". Attraverso vie difficili
e spesso non lineari, misteriose eppure piene di logica, l'umanità in cammino è
chiamata a riconoscere il fondamento ideale e vivo della sua unità e ad
attualizzarla nelle scelte piccole e grandi della quotidiana esperienza di vita
individuale e sociale. Per questo giustamente il Papa ha invitato i rappresentanti
religiosi del mondo a dare simbolicamente, nell'assemblea di Assisi, dei segni di
speranza e ad innalzare preghiere per la pace. L'aspirazione profonda alla comunione
con la trascendenza, propria delle Religioni, lungi dal cercare commistioni con la
politica, è chiamata a diventare sorgente ispiratrice di buone politiche volte alla
giustizia e al servizio dei deboli.
La seconda affermazione di Gesù nella liturgia domenicale suona:"Uno solo è il
vostro Maestro, il Cristo" e ci porta a pensare ad un altro avvenimento, la morte
di Mons. Enzo Rinaldini, sacerdote gardonese, missionario e vescovo in Brasile, che
questa settimana ha lasciato questa terra. Già sacerdote ha sentito forte dentro di
sé la vocazione missionaria e non ha esitato. Laureato in matematica e fisica, non
ha mai dimenticato questa parte importante dei suoi studi ma ha preferito essere
fino in fondo soprattutto un discepolo del Vangelo allo scopo di aiutare tanti
fratelli e sorelle a credere e quindi a sperare e a vivere. Tante sono le cose da
imparare, ma indispensabile da conoscere e vivere è soltanto la buona novella. Tanti
sono i maestri che pretendono di insegnare, ma la voce che si sente il bisogno di
ascoltare è quella dell'unico Maestro. Don Enzo è stato testimone e maestro - lo si
può ben dire - da vero professore quale era, ma senza darsi arie. Ha svolto una
attività molteplice, ricca di iniziative, forte e nello stesso tempo caratterizzata
dalla mitezza. E' proprio quanto ha chiesto il Signore Gesù. "Il più grande fra voi
sia il vostro servo".
Don Francesco
Date a Cesare e date a Dio
17 ottobre 2011
Ascoltiamo nella domenica XXIX la celebre affermazione “Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio”. Ci riflettiamo e ne ricaviamo alcuni suggerimenti elementari e nello stesso tempo fondamentali. Il Cristo - rispondendo alla capziosa domanda dei farisei se sia lecito pagare il tributo all’imperatore di Roma - afferma in primo luogo l’evidenza dei doveri del cittadino. “Date a Cesare quello che è di Cesare”. Lo Stato esiste, riveste una funzione importante nei confronti della comunità civile alla quale non deve venire meno e perciò i cittadini devono fare la loro parte perché questo servizio si possa realizzare. In secondo luogo Gesù traccia un collegamento tra la parte da riservare a Cesare e la parte di Dio. Il servizio di Dio è assolutamente il principale ma implica la pratica della giustizia e del comandamento dell’amore nei riguardi dei fratelli vicini e lontani. I doveri sociali non possono quindi essere ignorati da coloro che intendono seriamente mettere Dio al primo posto, “rendendo a Dio ciò che è di Dio”.
Un’altra indicazione è contenuta nella lapidaria dichiarazione di Gesù. Benché egli l’abbia espressa con chiarezza, la lunga storia passata e pure la cronaca attuale ci avvertono quanto sia difficile metterla in pratica. E’ tracciata una distinzione netta tra ciò che riguarda l’esercizio del potere dello Stato e ciò che riguarda l’organizzazione religiosa. Nel mondo occidentale si sottolinea a ragione la reciproca indipendenza tra la Chiesa e lo Stato. Lo Stato non deve e non può interferire nelle cose della Chiesa e non può strumentalizzarla; la Chiesa a sua volta non deve cedere alla tentazione di esercitare qualsiasi potere di carattere politico. E' una sfida che si presenta regolarmente là dove la religione è viva e forte. Anche molti contesti culturali e religiosi al di fuori dell’occidente cristiano hanno questo problema da risolvere. C’è molta strada da percorrere da parte di tutti, affidandoci alla parola del nostro Maestro e Signore.
Don Francesco
Preparerà il Signore sul monte santo
10 ottobre 2011
Il regno di Dio si può paragonare ad un banchetto di nozze. Ed ecco come
si esprimono i testi nella liturgia della domenica XXVIII. Il profeta
Isaia con immagini splendenti afferma che il Padre del cielo invita tutti
sul monte santo. Il banchetto sarà la visibile manifestazione della gioia,
quando i figli si ritroveranno assisi intorno alla sua mensa del Padre.
Sarà il banchetto della comunione vera e quindi dell'amore che tutti
abbraccerà, il simbolo del definitivo superamento delle distanze e
della piena riconciliazione dell'umanità. Il profeta si concentra dunque
su un'immagine positiva, il momento ideale della vocazione universale e
della risposta corale all'attesa di Dio.
Gesù invece, nella parabola con la quale ha inizio il capitolo XXII del
Vangelo secondo Matteo, tocca le note spesso dolenti dell'umana libertà.
"Il re mandò i servi a chiamare gli invitati, ma essi non vollero
venire.non se ne curarono ed andarono chi al proprio campo chi ai propri
affari". E' l'immagine plastica dell'indifferenza, del disinteresse, del
rifiuto, del prevalere dell'egoismo e dell'individualismo, in una visione
orgogliosa ma debole, nella quale è assente il respiro della fede e
della speranza. Per conseguenza manca anche l'amore con la fatica che
comporta e la gioia che dona. Un giudizio molto pesante viene dunque dal
Cristo, il quale, insistendo nell'analisi delle condizioni per la
salvezza, fa notare che, associato al rifiuto, regolarmente appare il
peccato della presunzione. C'è chi pretende il premio senza aver nulla
fatto per meritarlo. "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito
nuziale?".
Il duplice messaggio ci induce alla riflessione. Tornano come commento due
espressioni dell'apostolo Paolo. Prima l'ammonimento:"Con tremore e timore
attendete alla vostra salvezza"; poi una indicazione che parte
dall'esperienza:"Tutto posso in colui che mi dà forza".
Don Francesco
A voi sarà tolto il regno di Dio
01 ottobre 2011
Quando parlano della vigna- nella liturgia della Domenica XXVII - sia il
profeta Isaia che lo stesso Gesù intendono parlare di un popolo. Di
Israele, popolo eletto dell'antico testamento che tuttora vive
nell'ebraismo, e del popolo cristiano, la cui vicenda da duemila anni si
dispiega nella storia. Il concetto principale che emerge dai testi è che
la vigna è nata dal cuore di Dio, il quale la ama, non cessa di prestarle
attenzioni e cure, la ritiene sua e non di altri. Afferma il salmo: Egli
ci ha fatti, a Lui apparteniamo. Ma ecco che avvengono delle cose in
contrasto con le attese di Dio. Isaia constata che la vigna nonostante la
cura assidua della coltivazione divina non produce fruuti, anzi ne
presenta di cattivi e nocivi. Fuori metafora vuol dire che il popolo - la
gente - non collabora all'opera di Dio, si manifesta indifferente e
ribelle. Dal canto suo Gesù constata che i coltivatori da semplici
incaricati quali erano hanno assunto la pretesa di farla da padroni, non
consegnando il raccolto, maltrattando gli uomini mandati a controllare,
attentando addirittura alla vita dell'erede. Fuori metafora Gesù vede che
i governanti, religiosi e civili, ai quali la comunità è stata affidata,
non riconoscono di essere lì per incarico di Dio, sono attaccati al
potere, non permettono che altri subentrino o si interessino, non esitano
ove si presti il caso a ricorrere alla violenza. Come non vedere in questa
parabola il riferimento non troppo velato a comportamenti e fatti della
storia reale di ieri e di oggi?
Come le cose andranno a finire è solo una questione accennata eppure
meritevole di essere preso in attenta considerazione nella prospettiva di
riflettere e agire. Isaia prevede che la vigna sarà distrutta, il popolo
eletto scomparirà. La Chiesa in questo caso cesserebbe di aver senso di
esistere, si autodistruggerebbe. Gesù al contrario ci tiene a sottolineare
che la Chiesa è eterna. Le porte degli inferi non prevarranno. Ma là dove
si manifesta sterile e ribelle - Dio non voglia che ciò avvenga- cesserà
di essere presente. Emigrerà in altra terra, nella quale un altro popolo
potrà accogliere con gioia l'annuncio del vangelo e produrre abbondanti
frutti. Un avvertimento questo - alcuni osservatori fanno notare - che può
valere per la stanche comunità cristiane dell'Occidente.
Don Francesco
Lavorare nel campo di Dio
18 settembre 2011
Per la festa dell'Oratorio la Liturgia quest'anno propone una riflessione
sul lavoro, richiamando la nostra attenzione su alcuni punti
significativi. Bisogna notare innanzitutto il rimprovero che il padrone fà
ai chiamati dell'ultima ora: "Perché ve ne state tutto il giorno senza
fare niente?". In questo possiamo leggere un rimprovero alle persone che
hanno poca voglia di lavorare e forse anche a quegli educatori che non
trasmettono ai ragazzi e ai giovani - i quali pure sono tenuti ad avere
la giornata occupata - il senso del dovere compiuto e del tempo utilmente
speso. Ma pensiamo anche dolorosamente ai disoccupati e ai troppi giovani
in cerca della prima occupazione, verso i quali la nostra società non
sempre è generosa nell'offrire opportunità.
Però nello stesso tempo che accogliamo l'invito a vivere giornate
laboriose facciamo attenzione anche alla parola del padrone, che in questo
caso è il Signore stesso, che invita "a lavorare nella sua vigna". Qui il
discorso si sposta. Dal diritto e dovere di lavorare si passa alla
scoperta della finalità principale che sottende a tutto l'agire umano.
Permangono certo le finalità dell'economia, delle primarie esigenze della
famiglia, degli indispensabili servizi sociali e del progresso. Tuttavia,
qualunque sia l'attività nella quale siamo occupati, dobbiamo avere la
consapevolezza che Dio ci chiama a lavorare nel suo campo. La finalità
del lavoro è per il Signore e per l'avvento del suo regno, è per il bene e
per amore dell'uomo.
Nella parabola dei lavoratori a giornata infine restiamo colpiti dalla
questione del salario. Quale la giusta ricompensa per una giornata piena e
quale per un orario ridotto? Contrariamente a quanto sembra il testo
sacro non intende rispondere a questo quesito. Vuole invece ammonirci e
ricordarci che dobbiamo sentirci sempre a disposizione per dare il meglio
di noi stessi, avendo senza gelosie il cuore aperto verso tutti, anche
verso gli ultimi arrivati. E quel Signore, che è il Dio della giustizia e
dell'amore, ricompenserà in forma sovrabbondante.
Don Francesco
Il cuore è con la comunità e con il mondo
11 settembre 2011
La Parrocchia accompagnerà - con il raccoglimento interiore, con la
preghiera e con lo spirito che ascolta la voce che chiama all'impegno - i
quattro appuntamenti di queste giornate.
*Ricorrono i dieci anni dell'attentato alle Twin Towers di Nuova York. A
motivo di questo
terribile atto di terrorismo, quell'avvento del terzo millennio che il
Papa Giovanni Paolo II aveva preparato come inizio di un nuovo cammino di
pace per tutti, in continuità con il dono di grazia portato dal grande
Giubileo dell'anno Duemila, ha imboccato la dolorosa via della guerra e
della violenza, del sospetto e dell'incertezza. E' crisi buia e il mondo
sembra aver perso del tutto lo slancio che viene dalla speranza nel
domani.
* Si conclude ad Ancona il 25°Congresso Eucaristico nazionale, che ha
visto riunite con tanta popolazione locale le rappresentanze della Chiesa
Italiana. Accogliendo il tema suggerito "Signore, da chi andremo. Tu
solo hai parole di vita eterna" il popolo cristiano adora il Signore
presente nell'Eucarestia e, consapevole di tutte le condizioni ed
esperienze di vita nelle quali le persone sono immerse, prega per i
cristiani e per tutta l'umanità. Il Cristo ha posto la sua tenda tra di
noi, ci parla come Parola vivente e ci nutre come Pane di Vita. E' la
nostra guida e la nostra forza.
* Anche la nostra Diocesi di Brescia è in fermento. Dal 12 al 19 settembre
celebra infatti la Settimana di apertura dell'anno pastorale "Chiesa nella
Città. Interpretare i segni dei tempi". Per incarico del Vescovo è stato
pubblicato un libretto che durante l'anno nelle comunità parrocchiali
diventerà oggetto di approfondimento e di dialogo in ordine alla
comprensione, all'approvazione e alla scelta delle Unità Pastorali. Si
tratta di una forma nuova di coordinamento e di collaborazione di tutta
l'azione pastorale delle Parrocchie. Fedeltà alla tradizione e
rinnovamento costituiscono i criteri del cammino della Chiesa nel tempo.
*La Parrocchia di S. Marco si appresta infine a vivere in spirito di vera
comunione nei giorni 16-17 e 18 settembre le tre giornate di Festa del
nostro Oratorio, che vanno sotto il titolo di Festa della Gioia. Ancora
una volta alle famiglie è offerta l'occasione di esprimere il senso della
fraternità e la corresponsabilità verso l'impegno educativo dell'Oratorio.
Don Francesco
Fare e accettare la correzione
03 settembre 2011
In quattro affermazioni si può sintetizzare il messaggio, religioso e molto umano, della domenica ventitreesima: spesso sbagliamo, dobbiamo accettare la correzione, esiste un giudizio sulle azioni compiamo, è possibile il perdono.
Quello che, per esempio, avviene nei percorsi stradali, quando si può sbagliare strada se non addirittura la meta, si realizza regolarmente anche sul piano della condotta morale. Magari facciamo fatica ad ammetterlo, ma inevitabilmente la categoria “giusto/sbagliato” ci accompagna. Esiste il bene ed esiste il male. Esiste la libertà di scegliere e l’opzione che si compie non è equivalente, non fa mai lo stesso. Questo è vero anche se la mentalità corrente tende a negarlo.
E poi oltre il dovere di vigilare sulla nostra personale condotta, il profeta e Gesù ci segnalano che esiste un precetto molto preciso: quello di intervenire per correggere il fratello e la sorella che sbagliano. “Tu dovrai avvertirli in nome mio”, è scritto nel libro di Ezechiele; “và e ammonisci tuo fratello”, ordina Gesù. Ora, secondo una moderna concezione della vita, ognuno è libero di fare quello che gli pare e piace e di conseguenza avviene non di rado che gli educatori e perfino i genitori rinunciano a correggere i figli, i bambini, i ragazzi, giovani. Al contrario anche gli adulti devono essere richiamati, quando deviano. Il profeta così si esprime:”Se non avverti il tuo fratello, Dio chiederà conto a te della sua vita”.
Peccato è la parola con la quale la Sacra Scrittura definisce la disobbedienza alla legge morale, il rifiuto dell’osservanza a quei Comandamenti, che si riassumono nel precetto dell’amore. Il peccatore sarà “sciolto”, cioè perdonato, se accettando la correzione si incamminerà sulla via della giustizia e del bene. Se al contrario rifiuterà la correzione resterà “legato” e dovrà dunque rispondere in giudizio, davanti a un tribunale non umano, col rischio di “morire per la sua iniquità”.
Sentiamoci dunque - come ci raccomanda l’apostolo Paolo - debitori di amore verso tutti e così realizzeremo per intero il piano sapiente che Dio ha stabilito per la nostra salvezza.
Don Francesco
I giovani e la fede
19 agosto 2011
(Per la “Giornata mondiale della Gioventù” suggerisco la breve riflessione di un grande uomo di Chiesa, il Card. Roger Etchegaray,carico d’anni ormai ma giovanissimo nello spirito.
Don Francesco)
E’ difficile parlare dei giovani, così mobili, così diversi, eredi senza eredità, costruttori senza modelli, viaggiatori senza bagaglio e senza biglietto. Troppo spesso li giudichiamo senza averli ascoltati, oppure fatichiamo ad accogliere le loro domande nuove e spesso sconcertanti, perché non ci piace che siano scosse le nostre abitudini rassicuranti. Lucidi fino a diventare feroci, esigenti fino a diventare ingiusti i giovani si liberano da ciò che credono di trovare in noi di troppo formalista, di abitudinario, cioè d’ipocrita. Vicini all’asfissia - ci sembra di capire - si dibattono come possono e lanciano un grido che è più che una invocazione di aiuto che una protesta di rivolta.
I giovani e la fede? Si tratta solo di una crisi passeggera, come succede in ogni generazione, anche se più estesa che in passato? O ritratta di una spaccatura più profonda e più duratura che la Chiesa porta sui suoi fianchi come una piaga aperta? I giovani non si aspettano da noi una sacralizzazione del loro comportamento; non cercano in noi dei complici, ma dei testimoni che riflettano un Vangelo allo stato puro. I giovani saranno raggiunti soltanto da una evangelizzazione presa all’interno, che si colleghi con i dinamismi autentici della vita. Occorrerà cercare incessantemente il punto di immersione della libertà e aspettare pazientemente, un po’ come il rabdomante con la sua bacchetta di nocciolo. Occorrerà suscitare nei giovani una fede capace di dialogo, una fede da vivere in una società secolarizzata o composta da famiglie spirituali molto differenti, una fede capace di dialogo con tutto ciò che è estraneo o ostile.
Don Francesco
Una pausa e tanta attenzione
15 agosto 2011
Sono i giorni di ferragosto, che per tutti rappresentano un momento di pausa, di riposo, di ferie. Ce ne andiamo in vacanza o facciamo una breve sosta, ma con una certa preoccupazione perché portiamo dentro di noi il peso della fatica, spirituale e morale, di quest’ultima settimana. Ci inquietano le scene di guerra, in Siria in Libia ecc…alle quali non vogliamo abituarci. Ci sconvolgono le immagini devastanti di violenza giovanile che giungono dalle città della Gran Bretagna. Ci mette in ansia, poiché ne va di mezzo la vita delle persone e delle famiglie, l’aggravarsi della crisi economica con l’evidente impotenza dei rappresentanti degli Stati ad affrontarla e ad arginarla. I grandi problemi mandano appelli pressanti in risposta ai quali, non rimane altro, per noi in tutto ciò che ci riguarda, che il dovere di dare una testimonianza. Di fiducia nelle persone, di speranza nel domani, di legame indissolubile con la comunità, soprattutto di fede viva in quel Dio che guida la storia e ci ama personalmente. Facciamo perciò nostre le parole della liturgia domenicale, che la donna Cananea – sarebbe una libanese secondo la divisione geografia attuale - rivolge al Cristo come all’unico che può venirle incontro:“Pietà di me, Signore, mia figlia è malata”; “Signore aiutami”; “Anche i cagnolini ricevono una porzione di cibo, quello che avanza alla tavola dei padroni”. Celebrando quindi la solennità dell’ Assunzione di Maria, cerchiamo di entrare dentro il grande mistero che in lei si è compiuto a favore di tutti. Con S. Elisabetta prima ripetiamo:”Beata colei che ha creduto…” e poi con la Madonna ringraziamo: “L’anima mia magnifica il Signore… di generazione in generazione la sua misericordia si estende su quelli che lo temono”. In questi stessi giorni a Madrid si svolge la Giornata mondiale della Gioventù nella quale il Papa incontra giovani provenienti da tutto il mondo e prega con loro. “Radicati e fondati nella fede”, così recita il logo dell’incontro, essi si impegnano a diventare i protagonisti di un mondo nuovo.
Don Francesco
Non sei solo
06 agosto 2011
La vicenda del profeta Elia, narrata nel capitolo XIX del primo libro dei Re e proposta dalla liturgia della Domenica XIX, si presta a quattro considerazioni di notevole importanza che possono interessare anche la nostra esperienza di uomini e donne credenti nell’impatto con la quotidiana realtà del mondo.
In primo luogo va notato che il profeta, perseguitato e condannato a morte dalla regina Gezabele, fugge precipitosamente per mettere in salvo la propria vita. Sembra imboccare casualmente la prima via di uscita, ma in verità la direzione della fuga è verso un grande traguardo. Infatti una ispirazione misteriosa e una energia che viene dall’alto lo conducono al Monte santo, al luogo dell’incontro con il Dio grande che si è manifestato ai patriarchi e infine a Mosè. Come è avvenuto per Elia così la Provvidenza di Dio ci guida lungo le vie della vita.
Ma ecco che la manifestazione di Dio, contrariamente alla tradizione biblica, avviene non nel fuoco, non nella tempesta e neppure nel terremoto. E’ questa la seconda indicazione che ci viene data. Ci suggerisce che Dio non è legato a schemi quando decide di rivelarsi, di parlare alla creatura umana. Ad Elia si manifesta in modo insolito “nel sussurro di una brezza leggera”, cioè nel silenzio, quando tacciono le ansie del cuore, quando sopravviene la quiete dopo che i turbamenti hanno occupato l’animo. Il Vescovo Agostino ha scritto:“non in commotione Dominus”. Bisogna preparare l’ambiente. Dio arriva quando l’animo cessa di essere disperso in tante distrazioni e preoccupazioni mondane.
“Non ce la faccio più. Ora basta, Signore.”, aveva affermato il profeta durante una tappa del viaggio. Certamente non solo per avere salva la vita ma anche perché non trovava più la forza di lottare era fuggito. Il Signore allora gli risponde: “non devi lasciare. Adesso recupera le forze e poi ripercorri a ritroso il cammino. Devi ritornare sul campo dell’impegno e dare inizio a una nuova azione di testimonianza davanti al re e in mezzo al popolo”. E’ la terza indicazione. La ricorrente tentazione di cedere, di lasciare il campo, di rinunciare deve essere contrastata da una rinnovata decisione di fedeltà. Dio assicura il suo aiuto.
Assume infine un grande valore per l’attualità, per il nostro tempo e per tutti noi così spesso sfiduciati e pessimisti, anche la riposta che Dio dà alla parola sconsolata del profeta. Elia dice: “ Gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza e io sono rimasto solo”. Dio risponde:” Non sei solo. In Israele ci sono settemila persone che sono restate fedeli. Uomini e donne che non hanno bruciato l’incenso agli dei pagani”.
Don Francesco
Fame e sete di giustizia
29 luglio 2011
Alle gravissime notizie che ci sono venute la settimana scorsa dalla
cronaca internazionale possiamo applicare il duplice messaggio della
Liturgia della Domenica XVIII.
I. La violenza cieca e inaudita con la quale un giovane a Oslo ha causato
la morte tragica di tanti altri giovani ci fa pensare all'aridità di cui
così spesso soffrono il nostro spirito e il nostro cuore. Davvero, come
recita lo spiritual che un tempo si cantava - ormai sono passati tanti
anni fa - nelle assemblee di preghiera. "La nostra terra ha sete, tanta
sete. Chi sarà che alfin le porterà tutta l'acqua che le serve, tutta
l'acqua che non ha? Il mondo è un deserto, è una grande aridità. ma i
fiumi portan l'odio e lì noi ci abbeveriam..". Per il profeta non c'è
altro rimedio che il ricorso alla fonte divina dell'acqua che disseta
e rigenera: "O voi tutti assetati, venite all'acqua". Così ha parlato Gesù
stesso alla donna samaritana:"Chi berrà dell'acqua che io gli darò, non
avrà più sete in eterno". Questa acqua è la divina Parola, una che
conforta, rasserena, rafforza, dilata il cuore ai sentimenti positivi di
amore, di dialogo, di accoglienza e di pace.
L'altra notizia ci è giunta dalla Somalia e ci ha mostrato la situazione
di un popolo che soffre a causa della siccità, della carestia e di
conseguenza patisce la fame e subisce - anche qui - sotto molte forme la
violenza. Il vangelo secondo Matteo al riguardo propone un imperativo di
impegno, un invito esplicito alla corresponsabilità nei modi che ci sono
possibili. Infatti agli apostoli che segnalano che la gente è affamata,
che cosa risponde il Signore? "Voi stessi date loro da mangiare". La cosa
era evidentemente impossibile per quegli sprovveduti amici di Gesù. Ma
essi raccoglievano un messaggio e lo tramandavano alle generazioni. Non
basta osservare le situazioni, non serve la sola manifestazione dei
disagi, non sono sufficienti le parole. Bisogna darsi da fare.
Don Francesco
Una sola cosa desidero
24 luglio 2011
Esiste un obiettivo superiore, un bene assoluto, una meta, un valore
totalmente appagante per il cui raggiungimento valga la pena rinunciare a
tutto il resto? Il Vangelo lo testimonia, Gesù Cristo lo ha affermato.
Infatti possiamo ricordare alcune circostanze nelle quali Egli ha trattato
questo argomento. A Marta, sorella di Maria e di Lazzaro, disse che "una
sola cosa è necessaria"; al giovane ricco rivolse l'invito ad "andare, a
vendere tutto quello che possedeva e a donarlo ai poveri"; ai discepoli
segnalò "che non serve a nulla guadagnare il mondo intero se poi si perde
l'anima"; infine nella parabola di questa domenica XVI propose l'esempio
del mercante che "trovata una perla di grande valore, andò, vendette tutti
i suoi averi e la comprò".
All'opposto di questi insegnamenti ci può essere la condotta superficiale
di uomini e donne, giovani e adulti che, immersi nelle preoccupazioni
della vita quotidiana e non di rado ingolfati in cose leggere e futili,
corrono il rischio di camminare a vuoto, di sprecare energie, di perdere
di vista la bussola della vita, la cosa importante.
Ma in che cosa consisterà questa? La liturgia nelle letture domenicali
risponde con quattro affermazioni. "La mia parte, la mia eredità è il
Signore", è la prima risposta. L'obiettivo è altissimo, non è altro che
Dio stesso, che è il primo, l'ultimo e il tutto. Così afferma l'orante del
Salmo 119, il quale aggiunge che l'esperienza più appagante alla quale
ogni persona è chiamata è la comunione con Dio, l'unione piena con Dio.
Non basta una conoscenza teorica e astratta di Lui, ma l'uomo raggiunge la
vera felicità solo quando entra nella sua intimità. "Il tuo amore è la mia
gioia". La terza indicazione è costituita dalla proposta di un ideale
vivente, lo stesso Gesù Cristo, sul quale dobbiamo modellare la nostra
esistenza. "Il Padre ci ha predestinato a d essere ad immagine del Figlio
suo". Anche noi, come ha fatto Gesù, possiamo indirizzare tutta la nostra
esistenza verso il Padre e vivere ogni istante nella comunione con Lui.
Infine la quarta risposta riguarda la vita quotidiana, le cose da fare e
il come farle. Si tratta di tenere una condotta di vita nella giustizia e
santità, secondo lo spirito della preghiera che il re Salomone all'inizio
del suo regno innalzava al Signore. Non chiedeva lunghi anni né grandi
ricchezze e neppure una vita facile. Desiderava di avere "un cuore docile
che fosse in grado di distinguere il bene dal male, un animo forte che lo
rendesse idoneo a esercitare la giustizia verso tutto il suo popolo".
Don Francesco
La tua forza è principio di giustizia
17 luglio 2011
A leggere quanto spesso si scrive o ad ascoltare quanto si ripete con una
certa disinvoltura, viene ormai da pensare che Dio abbia bisogno di un
grande avvocato difensore. Le parole sono tante e le proteste vengono
sollevate da varie parti ma alla fine la questione è una sola. Si
concentra in questa domanda: come è possibile che il Creatore giusto e
provvidente permetta tante prove e resti insensibile davanti al dolore
dell'umanità? Come è stata possibile la tragedia dello shoah e come si
spiega la storia che ne è seguita, seguito ininterrotto di guerra,
violenza, odio razziale, intolleranza e lotta di religioni, stillicidio di
attentati suicidi con stragi di innocenti? Mentre a questo si aggiungono
sconvolgimenti dell'ambiente e delle città causati da terremoti, maremoti,
tempeste tropicali, vulcani, inondazioni? Diversamente da come afferma il
libro della Sapienza, "non dovrà Dio difendersi dall'accusa di essere
giudice ingiusto"?
Non è facile rispondere. Lo stesso libro di Giobbe, che affronta
direttamente il tema della sofferenza dell'uomo giusto sembra concludersi
con l'invito a riconoscere il mistero della grandezza di Dio e mantenere il silenzio.
Ribadisce il libro della sapienza nella prima lettura della Domenica XVI:"
Tu governi con potenza e mitezza". Gesù aggiunge:" Il Regno di Dio
diventerà come albero rigoglioso; come lievito penetrerà tutta la realtà
del mondo". Nella parabola della zizzania ribadisce:" Le forze del male
non verranno immediatamente impedite, ma alla lunga chi avrà vissuto in
fedeltà avrà la salvezza". Il Cristo sembra dunque ancora una volta
ripetere, che l'opzione per Dio e il suo Regno postula la condizione
di uomini liberi. Dio ci crea liberi e ci mantiene nella condizione di
libertà aspettando che la nostra vita si trasformi in amore, in servizio
di Dio, in dono.
E non mancherà di venire incontro alla nostra debolezza.
Don Francesco
La parola che porta frutto
10 luglio 2011
"La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio
taglio. Essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello
spirito. La parola che esce dalla bocca di Dio non ritornerà a lui senza
effetto, senza aver operato ciò che Egli desidera, senza aver compiuto ciò
per cui è stata mandata".
Le letture bibliche della Domenica XV in primo luogo ci invitano a
ritenere che Dio parla al cuore degli uomini, si rivolge alla loro
intelligenza e coscienza, interviene per illuminare il loro cammino nella
vita personale e nella storia. In secondo luogo ci dicono che l'azione di
Dio non cade mai nel vuoto. L'atto divino di comunicare non può risuòtare
inefficace e vano: lascerà segni ben visibili, porterà frutti buoni e
abbondanti.
Ma allora come si spiega il fatto di un seme che non produce frutto: cade
sulla strada e gli uccelli lo mangiano; germoglia su terreno sassoso e il
sole lo brucia; è seminato tra i rovi e questi nella loro crescita lo
soffocano? E' vero. La presenza del male nel mondo e il grande spazio che
l'incredulità, anzi l'arroganza dell'incredulità continua sempre più ad
occupare sembrano ridimensionare l'affermazione biblica, quasi costituendo
la smentita pratica dell'efficacia della Parola divina.
E' molto difficile uscire da un dilemma nel quale si confrontano, su piani
diversi, la potenza per sua natura irresistibile di Dio Onnipotente e
quella libertà umana che ci portiamo appresso come risorsa indisponibile
ma volta al bene. Si potrà sciogliere soltanto quando l'uomo si arrenderà
davanti al Dio infinito dal quale in segreto sempre viene cercato e amato.
" Sono dunque beati gli occhi che vedono e gli orecchi che ascoltano",
dice il Signore.
E anche noi, come scrive S. Paolo, uniamoci a "tutta la creazione gemendo
e soffrendo le doglie di un parto, per la nascita di un mondo nuovo"
Don Francesco
Un prete: la gioia di vivere
12 giugno 2011
La Festa della Pentecoste, punto d'arrivo e conclusivo del Tempo
liturgico pasquale e punto di partenza della Missione apostolica verso il
mondo intero, nella nostra comunità parrocchiale di S. Marco quest'anno
assume un significato straordinario a motivo dell'Ordinazione
presbiterale e della Celebrazione della Prima S. Messa di don Andrea
Maffina.
E' un giovane di 26 anni, nato e cresciuto a Gardone Val Trompia, che ha
sentito il segno vocazionale fin dalla prima adolescenza. Ne è stato
interiormente toccato e si è orientato decisamente al Seminario già
all'inizio della terza classe Media. La vita di relativa clausura, il
severo impegno dello studio e il lungo tirocinio di formazione spirituale
e ascetica non hanno alterato i tratti distintivi della sua personalità:
l'ampio sorriso, il carattere aperto, il dinamismo organizzativo al
contatto coi ragazzi, la forza comunicativa, la gioia della vita.
La celebrazione della Prima S. Messa è destinata a lasciare un segno
profondo naturalmente nel cuore dei suoi familiari e amici ma anche in
tutta la parrocchia e specialmente nei giovani.
Davvero lo Spirito Santo con l'abbondanza dei doni non manca di far
sentire la sua presenza misteriosa, la sua forza, il suo dinamismo.
Quando accenna a tutta questa potenza la Sacra Scrittura ricorre alle
immagini del vento e dell'uragano, del fuoco divorante, dell'acqua fresca
e delle cascate impetuose.
Nella vita del prete però lo Spirito Santo si rivelerà in forma più
semplice come costante offerta di comunione con la grazia del perdono, la
parola che rassicura e conforta, la gioia della lode. Per costruire una
comunità viva.
Don Francesco
Io vivo e voi vivrete
27 maggio 2011
Sono frequenti nelle sacre Scritture espressioni dense, ricche di
significati e riassuntive di valori. Per questa Domenica 29 maggio
scegliamo la parola di Gesù "Io vivo e voi vivrete". Si trova all'interno
di un testo non facile da interpretare, i cui elementi principali tuttavia
non ci sfuggono.
Suggerisce innanzitutto l'idea che Gesù è vivo, anzi il Vivente, sempre
vivo per donare la vita, per far sì che anche noi siamo partecipi della
sua vita, la vita vera che non viene meno e supera ogni limite di spazio e
tempo. Mette poi in rapporto la vita con la sorgente stessa dell'amore. Ci
sarà infatti un giorno - e può essere oggi stesso - nel quale ci sarà dato
di scoprire, perché ne faremo esperienza viva, il legame intimo e
indissolubile: "Io, dice Gesù, sono nel Padre mio e voi siete in me e io
sono in voi. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò".
Afferma in terzo luogo la necessaria presenza nell'anima credente, dello
Spirito Santo:"Il Padre vi darà lo Spirito della verità, un altro
Paraclito, che rimarrà sempre con voi". Siamo dunque chiamati ad una vita
divina, parlando della quale nel giorno di Pasqua S. Paolo ha detto che la
nostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
E tuttavia, lo sappiamo, la vita del credente non può che scorrere nel
tempo: ricca di umanità, vita quotidiana con tanta gioia ma anche con non
poche prove, difficoltà e tribolazioni. Per questo le letture ci lasciano
tre indicazioni pratiche, il cui nesso reciproco non è difficile da
scoprire.
I. Chi ama osserva i comandamenti. Gesù conferma questo punto
fondamentale del rapporto fede-condotta di vita.
II. Lo Spirito Santo, presenza intima e personale nell'anima, è anche
forza costitutiva e creativa della Chiesa. IL credente in Cristo non è
legittimato a mettere tra parentesi l'importanza dell'appartenenza alla
Chiesa e l'impegno per l'unità della Chiesa.
III. Filippo predicava loro il Cristo. La missione deve continuare oggi
in questo tempo dell'affermarsi della globalizzazione, ma dovrà continuare
a seguire i criteri fissati una volta per sempre da S. Pietro. "Siate
pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza
che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta
coscienza".
Don Francesco
Il culto e lo spirito di servizio
20 maggio 2011
Anche questa settimana, avviene di frequente, la parola biblica ci vuole
portare dentro il nucleo della vera spiritualità. Ce lo fanno capire,
senza ricorrere a forzature e a eufemismi, le parole e le immagini del
testo sacro. L'apostolo Filippo avanza una richiesta non solo legittima
ma assolutamente centrale dal punto di vista religioso, manifestando una
aspirazione che tutti condividiamo perché sta anche nel profondo del
nostro cuore: "Mostraci il Padre e ci basta". Eprime tutto l'anelito della
vita orientata alla ricerca e all'incontro con Dio, pensato e amato,
l'unico capace di appagare perfettamente i desideri intimi del cuore. Ma
Gesù risponde: "Filippo chi vede me, vede il Padre". Dio ha dunque il
volto di Gesù , un volto di umanità, di bontà, di accoglienza, di amore,
di comunione, di pace. Quasi a dirci: "Vivete in questo modo e allora il
volto del Padre brillerà pure sul vostro volto". La sorprendente risposta
del Cristo ci riporta dalla nobiltà delle aspirazioni spirituali alla
concretezza della vita e dei suoi problemi quotidiani. Come avviene,
secondo il libro degli Atti, a Gerusalemme - ma non è mai esistito luogo
nel quale queste cose non succedono - dove i primi missionari
incontravano persone alle quali la povertà, forse la miseria rendeva tutto
difficile. Che cosa viene deliberato allora, partendo da una provocazione
che veniva dall'alto ma poi con una deliberazione che veniva dal basso ed
era da tutti era condivisa? La predicazione del vangelo non avrebbe dovuto
perdere slancio e intensità, il tempo dedicato alla preghiera non
avrebbe dovuto essere ridotto, ma nello stesso tempo l'assistenza ai
poveri e ai deboli avrebbe dovuto diventare un programma da associare
inscindibilmente alla predicazione e alla preghiera. La fede è autentica
solo se diventa espressione di amore attraverso lo spirito di dedizione,
di dono, di servizio. Anche San Pietro, a ben vedere, esprime queste cose,
parlando della vita comunitaria alla quale i credenti sono chiamati
attraverso il dono di sé. "Quali pietre vive siete costruiti anche voi
come edificio spirituale per offrire sacrifici spirituali mediante Gesù
Cristo".
Don Francesco
Dammi da bere
“Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”.
Segnalo l’attualità, quasi da cronaca - quella che un tempo avremmo definito di stile holywoodiano -, del dialogo di Gesù con la donna della città di Sichem, la samaritana.
“Và a chiamare tuo marito e ritorna qui”.
“Io non ho marito”.
“Hai detto bene che non hai marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quelle che ora hai non è tuo marito; in questo hai detto il vero”.
“Signore, vedo che sei un profeta”.
Ma qui non intendo denunciare qualcuno o qualcosa, ma solo mi piace, nella pagina evangelica della terza domenica di Quaresima, sottolineare il fatto di un incontro diretto e personale con Gesù che cambia la vita.
All’inizio la parola di Cristo è acqua fresca che disseta, scende nel cuore e ne appaga le attese più profonde. Poi la stessa parola diventa luce interiore: illumina l’interiorità e manifesta alla persona la sua condizione spirituale e di seguito il cammino da compiere per la liberazione e la crescita.
Infine porta al dialogo più intimo, con l’interlocutore misterioso verso il quale ogni anima anela.
“Viene l’ora ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.
Don Francesco
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Ascoltatelo
“Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”.
E’ la parola dal cielo per la seconda settimana di Quaresima. Ci raggiunge nell’esperienza di giorni, come altri e più di altri –capita spesso- caratterizzati da paure apprensioni incertezze egoismi tensioni e lacerazioni. Il sogno di un mondo armonico, di una vita operosa magari nella fatica e però nella concordia, di una percezione attiva della comune appartenenza e quindi della responsabilità assunta sembra ancora una volta infrangersi. Siamo davanti alla tragedia del terremoto/tsnumani in Giappone, allo spettro della guerra in Libia, alla domanda di libertà e di rinnovamento di tanti giovani tra i popoli arabi, alla ricorrenza ingiustamente contestata per ragioni di interesse particolare del 150° anniversario dell’unità d’Italia, ai temi per i papà e la famiglia nella festa di S. Giuseppe
La parola dal cielo è mandata per tutti, ma in particolare per coloro che credendo in Gesù cercano di seguirlo in ogni scelta ideale e in tutte le decisioni della vita quotidiana. Gesù sta puntando verso la città di Gerusalemme ben consapevole di quello che l’aspetta. Chiede perciò a Pietro e ai discepoli di seguirlo, di stargli vicini, di non voltargli le spalle nel momento che lui si appresta a portare a compimento l’opera che gli era stata affidata. “Chi perderà la propria vita per causa mia la troverà”.
“Ascoltatelo” è dunque oggi l’invito a non lasciare, ad essere pronti a dedicarci con passione e spirito di sacrificio, affinché in tutte le realtà che ci appartengono e incontriamo si manifestino solidarietà, giustizia, condivisione, senso di appartenenza all’unica famiglia di Dio.
Don Francesco
IL PARROCO RIFLETTE CON VOI
La perfezione dell'unità
Il messaggio della Domenica VII tocca il discorso sulla perfezione, un
anelito profondo che ci accompagna ogni giorno. Dal desiderio di avere un
corpo perfetto non soggetto ai limiti della malattia e all'usura del
tempo, al desiderio di avere una mente sempre pronta nel cogliere le cose,
nel capire le situazioni, nel penetrante nello studio e capace di comporre
le diversità alla condotta morale ineccepibile, che consente di superare
le debolezze del sentire e del volere. Oggi il Signore Gesù ci invita alla
perfezione della fede, che ha radice nella coscienza della dignità di
figli di Dio: "Siate figli del Padre vostro che è nei cieli" e ci
propone la perfezione della carità, che si alimenta nella contemplazione
dell'archetipo dell'azione divina: "Siate perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni,
e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Già il libro antico aveva
proclamato la parola:"Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono
santo". Sembra non arrivare in questi testi l'eco delle realtà mondane,
degli interessi, delle rivalità, dei conflitti, degli odi, delle
contrapposizioni, degli arrivismi, delle invidie, delle gelosie. Per un
attimo è messo tra parentesi tutto il negativo che macchia la convivenza,
rende cattivo il cuore e triste lo spirito. Subentra quel profondo
sentimento che ci porta ad abbraccia tutte le creature, gli uomini e le
cose e fa percepire l'universale vocazione all'unità. Annota giustamente
l'apostolo Paolo:"Tutto è vostro:il mondo, la vita, la morte, il presente,
il futuro. Tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio".
Don Francesco
Se vuoi osservare i suoi comandamenti…
Sorprendono le poche righe del libro del Siracide, che la Liturgia della sesta Domenica propone. Tessono l’elogio della libertà umana ma alla fine concludono il ragionamento in forma perentoria: ”A nessuno Dio ha mai dato il permesso di peccare”. Ma ancor più colpisce, per la sua sinteticità e gli aspetti di vita che intende abbracciare, l’affermazione con la quale la lettura si apre:”Se osserverai i comandamenti di Dio, essi ti custodiranno”. L’osservanza dei comandamenti dunque è una forza capace di custodire la nostra vita. Quasi a commento l’apostolo Paolo annota che questo è lo stile che caratterizza la condotta dei credenti e, con parole che sembrano richiamare elementi della nostra viva attualità, aggiunge che questa è una sapienza misteriosa, che “non appartiene a questo mondo né ai dominatori di questo mondo”. Tutto converge verso una finalità cioè la preparazione degli ascoltatori ad accogliere il severo comandamento che Gesù ci ha lasciato a riguardo della purezza e del matrimonio. “Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”. E ancora:”Fu detto che chi intende divorziare dalla moglie deve seguire determinate procedure di legge. Ma io vi dico che chiunque ripudia la propria moglie e sposa un’altra donna commette adulterio”. Due osservazioni possono far seguito a questa forte e comunque controcorrente in ogni contesto sociale presa di posizione. Al di là di ogni giudizio sui casi singoli, che non spetta a noi dare, dobbiamo ricordarci che questo è l’insegnamento della Chiesa, perché è insegnamento dello stesso Gesù. In secondo luogo non dimentichiamo che l’obbedienza al vangelo si rivela spesso molto ardua ma non è impossibile. Il Figlio di Dio Gesù Cristo è venuto sulla terra non per giudicare e condannare, ma per aiutare e salvare.
Don Francesco
Se toglierai in mezzo a te…
Piace alla Bibbia e in generale al modo antico - quando non esisteva minimamente nulla che si potesse paragonare alla moderna illuminazione notturna delle vie, delle città e degli ambienti -giocare sul contrasto tra luce e tenebre, tra notte e giorno. A quel tempo il tramonto del sole segnava la fine del lavoro e le attività dell’uomo cessavano pressoché totalmente. Partendo da questo fatto il Signore Gesù poteva dire “Io sono la luce del mondo, chi non segue me cammina nelle tenebre” e noi comprendiamo bene che egli intendeva parlare di una luce interiore, quella che rischiara il cammino dello spirito, i sentimenti del cuore e la vita morale. Sorprende invece l’affermazione, che si legge nel Vangelo di questa domenica ed è riferita all’agire del cristiano. Essere luce vuol dire diventare forza viva che aiuta a superare ogni tentazione di ripiegamento, indifferenza, sfiducia, rassegnazione, in una parola di rinuncia a impegnarsi. Essere luce vuol dire compiere gesti che aprono alla speranza e alle prospettive di futuro, che suscitano la gioia della condivisione e della solidarietà, che creano nuovi spazi per il dono di sé e l’affermazione della giustizia. Lo dice bene il profeta con parole di viva attualità. “Se toglier ai in mezzo a te l’oppressione, la denuncia e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà la tua luce nelle tenebre”.
Don Francesco
Un popolo che confida nel Signore
Ricordiamoci sempre che la domenica è il giorno del Signore e il primo giorno della Settimana. Una settimana significativa è quella che si apre. Mediante il simbolo della candela accesa la festa della Presentazione al tempio ci ricorderà che Gesù Cristo Signore è la luce del mondo, la luce che illumina i popoli e la fiamma cha fa ardere i nostri cuori. Con la fiaccolata dall’Ospedale alla Basilica di S. Maria degli Angeli invece sabato sera 5 febbraio daremo inizio alla Giornata nazionale per la vita. Si tratta di temi fondamentali dell’uomo e del cristiano.
Ci guidi una parola assolutamente importante anche se ci giunge da uno dei profeti minori, che porta il nome di Sofonia.
“Cercate il Signore voi tutti, cercate la giustizia, cercate l’umiltà”.
Chi cerca il Signore e non cerca di attuare la giustizia certamente non lo trova. Ma anche chi cerca la giustizia non la vedrà attuata se non percorrerà la strada dell’umiltà, con l’impegno generoso nel fare le cose giuste, nella fatica quotidiana e nel silenzio.
Sono parole di vita così distanti dai toni e dai contenuti delle parole che inondano la cronaca di questi giorni. “Dio sceglie quello che è debole per confondere i forti”.
Don Francesco